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Un festival della missione? no grazie!

Gabriel Ferrari
512
25 Settembre 2017

Sull'inedito evento ecclesiale previsto a Brescia nel prossimo ottobre pubblichiamo questo intervento del missionario trentino padre Ferrari. Il dibattitto rimane aperto e nel prossimo numero ospiteremo anche il punto di vista degli organizzatori.

Ho letto con interesse e curiosità l’articolo apparso sul settimanale della diocesi di Como a firma di Gerolamo Fazzini, giornalista esperto di missione, a proposito del Festival della missione che si te

rrà a Brescia il prossimo ottobre, dal titolo: “Ecco perché c’è ancora bisogno della missione ad gentes”. E l’ho letto con interesse, perché il titolo promette molto. Esso presenta il “Festival della missione”, organizzato dalla CIMI (Confederazione degli istituti missionari di origine italiana), dalla fondazione Missio della CEI e dalla diocesi di Brescia. Il titolo dell’articolo esprime con chiarezza le difficoltà che la missione ad gentes sta attraversando e nello stesso tempo la speranza di rilanciare una realtà che soffre per la drastica riduzione dei missionari/e, per una certa confusione di idee e per il venir meno delle motivazioni tradizionali. A dir la verità, la crisi è più profonda, perché ha radici teologiche oltre che storiche, non si ridu
ce alla mancanza di personale e non trova la sua soluzione con l’arrivo di preti provenienti dalle chiese che una volta erano di missione che, secondo Fazzini, servono a “rimpolpare gli organici” (sic) della missione.
La lettura dell’articolo mi ha condotto ad alcune considerazioni che faccio senza ironia ma con partecipazione e sofferenza perché sto parlando di ciò che io amo, di un’istituzione di cui sono membro - spero - ancora abbastanza attivo.
La prima considerazione è legata alla speranza che Fazzini, che del Festival sarà il direttore artistico, pone nel Festival destinato a essere “un evento di piazza, che utilizzerà linguaggi nuovi …” e fin qui niente di male, anzi. Ma egli sembra dimenticare che l’obiettivo del Festival (come di ogni animazione missionaria) dovrebbe essere quello di risvegliare una coscienza missionaria, che oggi appare sfuocata, e di attrarre alla missione, ad “andare” cioè effettivamente in missione, i possibili missionari, laici o preti o religiosi/e che siano. Ma quando “i nuovi linguaggi” vengono dettagliati come “concerti, mostre, spettacoli di strada, momenti di riflessione in un clima di festa”, sento spegnarsi la speranza che il Festival possa raggiungere le finalità appena dette e temo che sia una edizione in salsa missionaria dei vari festival di partito che in queste settimana si aprono nelle piazze delle nostre città. Mi è difficile credere che siano questi gli elementi che faranno decidere la gioventù ad aderire alla proposta missionaria. Non dovremmo invece risvegliare la consapevolezza di essere oggetto di una chiamata personale di Cristo che ci propone di fare qualcosa di bello con Lui e per Lui e per i nostri fratelli e sorelle? Questa è l’unica motivazione cogente e vera della missione.
Una seconda considerazione che è insieme un timore. Temo che il Festival si limiti a una kermesse di folklore missionario o si trasformi in un tentativo di dare un “segno di vita” da parte degli istituti o degli organismi missionari in calo di … audience. Non voglio scomodare il Papa e la sua messa in guardia sulla “mondanità spirituale”, ma ricordare che la missione non è un programma di eventi, concerti o attrazioni … da luna park. La posta in gioco è molto più semplice e insieme molto, molto più seria.
Infine, i ragionamenti che Fazzini mette in campo sono sicuramente impegnativi e seri : “La fisionomia degli istituti è completamente cambiata”, “le giovani chiese entrano nella missione”, “ il Vangelo non è arrivato in tutti i continenti”… Tutto vero, ma proprio per questo è necessaria una riflessione più profonda e non solo un Festival di eventi (happenings) che durano qualche sera d’autunno.  Non si tratta, insomma, di rilanciare la missione per mandarla avanti come nei tempi d’oro “quando c’erano molti missionari”, tempi che sono irrimediabilmente passati.  È ora di cambiare registro con nuovi modelli di missione e di missionario, e con motivazioni spirituali, evangeliche cioè e, nello stesso tempo, antropologiche, legate alla realtà del mondo attuale. Allora la missione riprenderà ad attirare i giovani. Non dimentichiamo (cosa ovvia, ma tanto ovvia che la si dimentica!) che la missione non si declina più sul verbo fare per, ma sul verbo essere e amare. E questo domanda formazione non intrattenimento delle persone. Ad ogni modo, auguro il miglior successo al Festival, anche se mi permetto di dissentire sulle sue modalità.
 
gabriel