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Nel Paese dai tetti blu

Elisabetta Pelucchi
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19 Novembre 2017

Sono passati solo otto anni da quel novembre 2008 quando, atterrando su Chiang Mai, vidi molti tetti blu e pensai che mi sarebbe certo piaciuto un Paese dove molte case avevano il tetto blu. Mi pare di rivivere lo stupore delle prime “scoperte” davanti a ciò che per me era totalmente nuovo.

Ma adesso che sono ritornata in Italia, otto anni si riempiono di nomi, volti, voci, risate e pianti e trovo che ci sia molto per cui ringraziare. Dopo i primi mesi trascorsi al nord per lo studio della lingua, sono scesa nella comunità di Nonthaburi, alla periferia di Bangkok, dove sono rimasta. La nostra comunità è impegnata nell’annuncio del Vangelo, attraverso la carità - impegno sociale nelle baraccopoli e presenza alla “Casa degli Angeli” per bimbi diversamente abili e le loro mamme - e nella catechesi, accompagnando le persone di fede buddista che chiedono di conoscere Gesù Cristo.

Il più delle volte si sarebbe tentati di dire che esse sono arrivate in parrocchia “per caso”. Je stava passeggiando quando vide sul banco di un venditore ambulante, fra tante piccole statue di Buddha, una riproduzione della Pietà di Michelangelo. Rimase incantato dalla raffigurazione di questa donna che teneva in braccio un uomo morto. In internet scoprì ciò che rappresentava e venne a sapere che nella nostra parrocchia, dedicata a “Nostra Signora della misericordia”, c’era una grande riproduzione di questa statua. Venne a vedere e si fermò per la catechesi.

Aphisit accompagnava la moglie, cattolica, alla messa domenicale. Non capiva nulla del rito e neanche lo interessava, ma un giorno rimase colpito da delle “straniere” che accompagnavano dei bimbi disabili curandoli come “fossero le persone più amabili che avessero mai incontrato”, mentre ai suoi occhi di buddista erano persone che stavano “scontando” il loro karma negativo.

Phrasong arrivò portato dalla grande alluvione del 2011 che lo aveva costretto ad abbandonare casa e venire alloggiato in parrocchia… Muai sentiva parlare di Dio dal fidanzato e volle “incontrarlo” perché, in cuor suo, lei parlava con quel Padre fin da bambina, ma di nascosto, in quanto nessuno le aveva mai parlato di Dio in famiglia, e lei temeva le dicessero che era solo frutto della sua fantasia.

Con queste e altre persone sulla soglia della fede cristiana ho condiviso la mia esperienza di fede e loro mi hanno arricchito della loro. Ricordo le fatiche di entrambe le parti. Io mi trovavo a usare una lingua che non è per nulla semplice, loro ad ascoltare una straniera che non solo parlava la loro lingua in modo strano, ma parlava una lingua davvero strana qual è quella del Vangelo, che dice che Dio fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi, che devi perdonare settanta volte sette o che sono beati i poveri in spirito.

A volte dovevo ricostruire un po’ il contesto e dare le basi perché potessero capire i comportamenti, i gesti e le parole di Gesù, altre volte erano loro che mi restituivano cose che io sapevo fin da piccola riempite di significato nuovo, come la lavanda dei piedi. A me il rifiuto di Pietro davanti a Gesù chino per lavarglieli aveva sempre saputo di cocciutaggine. In Thailandia nessun adulto può toccare i piedi di un altro adulto, in quanto sono la parte più indecorosa del corpo. Chi lo fa può essere solo qualcuno che occupa una posizione “inferiore” o di servizio. Ho capito molti passi della Sacra Scrittura in forma nuova, proprio mentre i catecumeni stessi facevano esperienza che quella Parola è viva.

La mia ultima domenica con loro mi aspettava Gioseng. Mentre lo ringraziavo, ricordavo il ritiro fatto con lui la prima domenica di Avvento del 2013 per l’ammissione al catecumenato. Avevamo presentato la figura del profeta Giona che fugge da Dio perché non vuole compiere la sua missione nella città di Ninive. La meditazione era accompagnata da alcune domande cui potevano rispondere liberamente.

Gioseng scelse la domanda: “Hai mai fatto esperienza di fuggire da Dio?”. Iniziò dicendo che da piccolo non conosceva il cristianesimo ma nei film aveva spesso visto l’albero di Natale ed era sempre stato un suo sogno possederne uno. Si era a novembre ed egli stava risparmiando i soldi per comperarselo, dato che quello sarebbe stato il primo Natale della sua vita, perché ormai non più buddista. In quelle settimane, le Filippine erano state colpite da un tifone devastante e al centro della chiesa c’era una scatola per raccogliere offerte per quella popolazione.

Entrando in chiesa, Gioseng finse di non vedere la scatola, ma non riuscì a seguire la Messa, perché nella testa gli risuonava il passo di Matteo: “Venite benedetti del Padre mio…. perché avevo fame e mi avete dato da mangiare….”. Uscendo dalla chiesa, prese i risparmi destinati all’albero di Natale e li mise nella cassetta delle offerte. Non fu però un’offerta fatta con gioia.

Arrivato a casa, decise di pulire il terrazzino da mesi abbandonato all’incuria. Vi teneva vasi e cose vecchie. Spostando quel materiale da “discarica” rimase muto e come paralizzato. Mesi prima un amico dal Canada gli aveva spedito dei semi che lui aveva piantato, ma non vedendo spuntare nulla, se n’era dimenticato. Quella domenica, in uno dei vasi c’era un abete di 10 cm: il più bell’albero di Natale che lui avesse mai visto e desiderato. Ricordando questo, la mattina del saluto mi dissi: “Ricordati, Elisabetta, Dio non si lascia vincere in generosità”.