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Perché volino con le loro ali

Virginia Isingrini
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19 Giugno 2018

Virginia Isingrini racconta stralci degli incontri che lei e la sua equipe fanno con i giovani in difficoltà al Centro di ascolto aperto presso la nostra comunità di Guadalajara, in Messico.

«Ciao. Mi chiamo Adriana, e tu?». «Sono Davide.» «Parlami di te. Ti ascolto.» A testa china, Davide biascica alcune frasi. Poi cade il silenzio, rotto qua e là dalle domande di Adriana. Uno, due, tre incontri, e sempre lo stesso sguardo triste e lunghi silenzi. Una storia difficile la sua. Abbandonato dal padre quando aveva due anni, era rimasto solo con la madre e i nonni materni. Con fatica aveva finito la scuola superiore. Poi la tragedia: un giorno la madre è rimasta coinvolta in una sparatoria tra bande rivali che l’ha lasciata paralitica e senza la parola. La gioia di vivere di Davide si è spezzata lì. Una madre da assistere giorno e notte. Senza amici, senza un soldo in tasca, senza un futuro. Finché un giorno è arrivato al Centro di ascolto, mandato da una zia che non sopportava più di vederlo spegnersi a poco a poco.

«Davide, ti piacerebbe studiare?». Gli si sono accesi gli occhi di nostalgia. «Cercheremo di aiutarti, se vuoi». Per la prima volta accenna a un fugace sorriso. La testa si rialza, le parole cominciano a fluire. Rinasce la speranza. Adriana non crede al miracolo. Davide adesso sta finendo l’università. Su un foglio sgualcito ha scritto le parole che la mamma gli ha dettato attraverso i movimenti delle palpebre: «Grazie di ciò che fate per mio figlio». Davide si mette a piangere, poi a ridere. Piango e rido con lui.

«Ciao. Mi chiamo Virginia, e tu?» «Sono Rachele.» «Parlami di te. Ti ascolto». «Ho diciassette anni. Cerco un ponte a cui impiccarmi». Lo sguardo perso nel vuoto, le parole escono a stento. Anche a guardarla mi fa male il cuore. Alle spalle una famiglia buona, ma che fatica a sbarcare il lunario. Il padre è rimasto semiparalizzato dopo un incidente sul lavoro. La madre fa la donna delle pulizie, esce all’alba e torna a notte fonda. Rachele ha trovato un lavoro al Monte di Pietà. Ogni giorno ascolta storie di disperazione, di povere illusioni che si spengono in quei quattro soldi portati via in fretta e furia. Il suo cuore è sommerso dal buio. «Non sei sola, Rachele. Da oggi sono con te.» Così torna a cercarmi, una, due, tre volte... «Mi piacerebbe fare quello che fai tu, ma dove prendo i soldi per studiare?» «Se vuoi, ti aiutiamo.» Impossibile descrivere la bellezza del sorriso che mi ha regalato quel giorno. Poi s’è accorta che studiare psicologia non faceva per lei, meglio infermieristica. Scarpe e camice bianco. Era bellissima! Dopo un anno mi ha detto che non aveva più bisogno del nostro aiuto economico. Aveva imparato a fare iniezioni, a curare ferite e quant’altro. Molti nel quartiere andavano da lei quando ne avevano bisogno. Quei soldini erano sufficienti per pagarsi gli studi. Rachele poteva ormai volare con le proprie ali.

«Ciao. Mi chiamo Magali, e tu?» «Sono Paola, ho dodici anni. Mia mamma mi ha detto di venire a parlare con te.» Paola ha paura che il diavolo arrivi all’improvviso e se la porti via perché a volte non riesce a finire i compiti oppure si spazientisce con qualche compagna di scuola. Nel collegio le hanno insegnato a fare l’esame di coscienza ogni sera: una tortura che le fa perdere il sonno. Non c’è mai un giorno in cui riesca a dire: «Ho fatto tutto bene!», mai, proprio mai. E se il diavolo arrivasse proprio adesso? Ogni notte è un piccolo inferno che si attenua solo quando, con tutte le sue forze, si propone di fare tutto alla perfezione... il giorno dopo. «Paola, ma alla sera non hai mai ringraziato il Signore per tutte le cose belle che hai fatto?» «Oh no! Ma credi che Gesù sarà contento?» «Altroché!» E così, prima di dormire, adesso Paola fa un lunga lista di quanto ha ricevuto durante il giorno. Il sonno è tornato quasi per magia.

Giovani. Un universo di mille colori e sfumature, di giochi d’ombra e di luci; di fughe in avanti e pericolose nostalgie del baratro. Giovani che abbiamo cercato, prima di tutto, di ascoltare pazientemente e con amore. Quando si comincia un cammino d’ascolto, non si sa mai dove si arriverà. La strada si costruisce camminando insieme. Non importa da dove si parte. Ciò che conta è fare un passo, seppure piccolissimo, per diventare un po’ migliori. Noi e loro.