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P. Engelbert Mveng, voce dell’Africa.

Teresina Caffi
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21 Aprile 2020

Venticinque anni fa, il 22 aprile 1995, veniva ritrovato assassinato nella sua casa a Yaoundé, in Camerun, lo storico e teologo camerunese p. Engelbert Mveng, gesuita. Fino ad oggi questo crimine rimane nel mistero. Rendiamo omaggio a p. Mveng pubblicando alcuni dei suoi pensieri.

Nato nel sud del Camerun nel 1930 da una famiglia presbiteriana, Engelbert Mveng venne battezzato cattolico ed entrò nel 1951 fra i Gesuiti. Ordinato prete nel 1963, fu il primo gesuita camerunese.  Storico, poeta, artista, teologo, ha saputo dare voce al suo Continente, alla sua storia, alle sue credenze, ai suoi riti, al suo dolore per le ingiustizie subite, alla sua speranza. Fra le sue numerose pubblicazioni, traiamo qualche passo, di una toccante attualità, dal suo libro “Identità africana e cristianesimo”[1].

Attingendo alle tradizioni del suo continente, il p. Mveng narra questo racconto:

“Quando la Morte invase l’umanità, gli uomini desolati andarono a lamentarsi da Dio dicendo: «Dio, Signore Dio, liberaci da questa sventura. Perché l’uomo vivente dev’essere divorato dalla morte?» Allora Dio fissò lo sguardo sull’uomo e disse: «Figlio mio, tu non sai cosa sia vivere. Va’ e insegna ai tuoi figli che, senza la morte, la vita non sarebbe più la vita»”. “Da quel giorno, commenta Mveng, gli uomini fondarono il rito di iniziazione, nel quale l’uomo deve passare dalla morte per rinascere alla vera vita. Questo rito, propriamente parlando, è la celebrazione della vittoria della vita sulla morte”.

Secondo la sua analisi, il tema della vita che combatte e vince la morte è centrale della religione africana. “L’immortalità in Africa… è lo statuto della persona che ha saputo realizzare in sé stessa il trionfo della vita sulla morte. Uno statuto che si conquista morendo. In questo contesto, la morte è ben altro che un accidente biologico. È l’esperienza della vita che spezza il guscio dell’uovo per sbocciare”.

Nella visione africana, dice Mveng, l’uomo è la ricapitolazione del cosmo: “Garantire la vittoria della vita nell’uomo significa assicurare la stessa vittoria nell’universo. Salvarsi, significa salvare il mondo! Poiché il mondo è il vasto campo di battaglia dove si affrontano la vita e la morte, il ruolo dell’uomo nel mondo è quello di mobilitare gli alleati della vita contro quelli della morte, e di garantire la vittoria dei primi. Per questo, per noi africani, anche il mondo materiale non è una realtà impersonale, ma un interlocutore accorto ed efficace”.

L’uomo – aggiunge Mveng – è il punto di incontro di tutte le onde di vita che percorrono l’universo. Egli è il momento dove il cosmo diventa vita e persona. Tutto l’universo materiale è il prolungamento, all’infinito, del suo involucro corporale L’uomo porta in sé la totalità del tempo come semente di storia. Egli è il punto di raccordo tra gli antenati e le generazioni future. Egli dà impulso al ritmo dei tempi e delle stagioni (…) Egli è la germinazione dello spirito nel caos della materia. Egli reca in sé l’umanità totale”.

Da ciò deriva la sua responsabilità: “L’uomo, fascio di rapporti vitali che lo legano a tutto il creato, è responsabile dello stato generale di questo creato. Ognuno dei suoi gesti si ripercuote nell’immenso intreccio di tutto ciò che esiste. (…) L’uomo, quindi, è il capomastro della creazione e deve portarla verso la sua pienezza, e per mezzo di essa dialoga con l’universo, con i suoi fratelli gli uomini e con Dio”.

Il cristianesimo, in Africa, - scriveva ancora - non è una questione di istituzione, ma una questione di uomini. Sono gli uomini dell’Africa, diventati cristiani, a dover portare al Signore l’eredità delle loro culture, inventare riti all’africana per adorarlo e costruire la loro Chiesa con le piete vive dei nostri popoli, sulla roccia delle nostre antiche saggezze”.

Da quella pienezza di vita in cui è entrato, p. Engelbert Mveng interceda per tutto il Continente africano la vita abbondante di cui i suoi popoli sono in cerca e per il mondo intero uno sguardo attento e umile alle ricchezze spirituali dei popoli; per tutti, la coscienza della nostra responsabilità in questo momento della storia.

 

[1] SEI, Torino 1990.