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LE DUE PENE DI MORTE - Un punto di vista che fa discutere

Savio Corinaldesi
624
23 Settembre 2019

(Dal sito dei Missionari Saveriani)

Fin dall’inizio della storia umana, in tutte le società, è esistita un’attività nella quale gli uomini mostrarono la loro capacità di far soffrire i propri simili: la pena di morte.

Con il pretesto di “fare giustizia”, l’uomo decapitò, affogò, bollì, crocefisse, strangolò, impalò, impiccò, sventrò, squartò, lapidò, bruciò, seppellì, torturò, trafisse, fucilò…

Le esecuzioni capitali diventarono veri e propri spettacoli con la partecipazione spontanea o forzata dei cittadini, con finalità didattiche o di deterrenza.

Alla fine del XVIII secolo cominciarono a sorgere movimenti di opinione ed iniziative tese a combattere quella pratica e favorirne l'abolizione giudicandola non soltanto barbara e incivile, ma anche inutile in vista dello scopo che si prefiggeva. A partire dal XIX secolo, numerosi Stati cominciarono ad eliminare dalla loro legislazione tale patica sostituendola con altre punizioni.

Le religioni, non esclusa la cattolica, si adeguarono al comportamento della società civile e spesso contribuirono ad allungare la lista delle pene e ad aggravarne la crudeltà.

All’inizio della Bibbia leggiamo la storia di Caino, l’uomo che per primo perpetrò un omicidio. In modo lucido e premeditato, uccise suo fratello Abele che non gli aveva fatto alcun torto né aveva alcuna colpa. Dio, scrive la Genesi, “pose un segno” sull’omicida «affinché chiunque lo incontrasse, non lo uccidesse» e minacciò aspramente chi osasse alzare la mano su di lui: «Chiunque ucciderà Caino, sarà punito sette volte tanto». (cfr. Gn. 4,9-15)

Per secoli i cristiani hanno letto che il loro Dio protegge perfino chi ha ucciso il proprio fratello, con premeditazione e cattiveria, e punisce con una pena sette volte maggiore chi osasse uccidere l’assassino. L’hanno letta, ma non ne hanno tenuto conto, anzi hanno giustificato e perfino usato, a loro volta, la pena capitale.

E ancora oggi, in pieno secolo XXI, migliaia di anni dopo Caino, c’è chi ha da ridire quando un papa fa scrivere nel Catechismo della Chiesa Cattolica che: “la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona» e raccomanda ai cristiani che si impegnino con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo” (nº 2267).

L’altra pena di morte

La dottrina della Chiesa parla anche di un’altra pena di morte, la pena eterna:

“La Chiesa, nel suo insegnamento, afferma l'esistenza dell'inferno e la sua eternità. Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, dopo la morte, discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell'inferno, "il fuoco eterno". (CCC 1035)

C 'è un'evidente contraddizione tra la fede in un "Dio che è amore" e la fede in un “Dio che punisce per l'eternità". È davvero un mistero che una religione abbia potuto tenere insieme per venti secoli, senza quasi avvertirne l’incompatibilità, la fede in un Dio tutto amore, misericordia e provvidenza, e allo stesso tempo giudice implacabile e rigorosissimo castigatore.

La storia dell'inferno è la maggiore e più grave calunnia che si potesse muovere contro Dio.

In essa molti cristiani trovano motivo per costruire l’immagine di un idolo perverso, crudele, finanche sadico; e i non cristiani ne ricavano argomento per la loro incredulità. Infatti buona parte dell’ateismo moderno proviene dalla predicazione dell’inferno.

I peccati che prevedono l'inferno come destinazione finale sono tali, tanti e così facili da commettere, che perfino bambini di dieci-undici anni sono educati nel timore di finire in esso, al punto che dobbiamo chiederci che razza di buona novella stiamo annunciando se è così facile andare all'inferno e tanto difficile entrare in paradiso…

“Può Cristo, può Dio, possono i beati essere felici sapendo che ci sono persone condannate per sempre (persone che alla fine sono figli e figlie di Dio e, inoltre, sempre persone care a qualcuno?” (Origene)

Come ammettere che Dio è Padre ma allo tesso tempo castiga i suoi figli per tutti i secoli dei secoli con pene terrificanti? La possibilità, anche remota, di finire nell’inferno, fa della vita non un dono ma una minaccia …

Nessuno di noi sarebbe capace di condannare un figlio per tutta l'eternità, per quanto male si sia comportato. Dio sarebbe peggiore di noi?

Nell’ora della morte

Quando l’uomo muore, lascia la sua condizione di "mortale" ed entra nello status di risorto, cioè si libera dai condizionamenti del tempo e dello spazio che lo limitano durante la sua vita terrena. Non è più schiavo del tempo: vive già nell'eternità. Non è più soggetto allo spazio: è presente ovunque. Come Gesù dopo la risurrezione.  E questo non in un vago futuro remoto, ma subito.

Come avvenne per Gesù che risuscitò sulla croce nello stesso momento della sua morte, così ogni uomo risorge quando muore. La risurrezione di Cristo rivela pienamente ciò che Dio stava facendo sin dall'inizio del mondo e farà per sempre con i suoi figli e le sue figlie.

Il Dio che ha soffiato lo spirito della vita nei nostri antenati, fin dal primo momento li ha guardati con amore infinito. Perché Dio è amore.

E se è amore, tutto ciò che fa lo fa per amore. Non sa fare diversamente. Non può fare diversamente.

E i cattivi? I “cattivi”, anche loro in quel momento scopriranno con non minore gioia, che Dio è un Padre misericordioso “che fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti” (Mt 5,45), un Dio che li aspetta da sempre come il padre buono aspettava il figlio prodigo:

“Quando era ancora lontano, il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa”. (Lc 15,20-24)

E cominciarono a far festa, senza aspettare che il figlio finisse la “confessione”, senza dar tempo al figlio “buono” di tornare dai campi, senza far caso che il vestito bello, l'anello e i calzari ed anche il vitello grasso appartenevano al fratello maggiore…

La gioia per il ritorno del figlio, fa perdere il giudizio al padre.

C’è da sperare che nessun “primogenito” stracci le vesti perché qui si insinua una soluzione senza inferno…