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“Ho visto, sì ho visto la miseria del mio popolo” (Es. 3,7)

Barthélemy Yaouda Hourgo, Vescovo di Yagoua
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11 Febbraio 2018

Mons. Barthélemy Yaouda Hourgo, vescovo della Diocesi di Yagoua (nell’Estremo-Nord del Camerun), di passaggio in Italia, è venuto a trovarci in Casa Madre a Parma, per salutare le Sorelle che hanno lavorato nella sua Diocesi e ringraziarle per il loro servizio di evangelizzazione e promozione umana nella parrocchia di Nouldayna dal 1986 al 2017.

 

Ci ha lasciato il messaggio accorato che ha scritto alla sua gente, molto provata dalla carestia, in occasione della prossima Quaresima. Gli abbiamo chiesto il permesso di pubblicarlo e promesso di lasciarcene provocare.

Messaggio per la Quaresima 2018

“Ho visto, sì ho visto la miseria del mio popolo” (Es. 3,7)

Care figlie e cari figli,

il periodo della Quaresima ci invita a rinnovarci e a rivestirci delle grazie che il Signore ci ha donato in abbondanza, ma che abbiamo qualche volta trascurato a causa delle nostre numerose occupazioni. La Chiesa ci offre questo tempo di conversione speciale per aiutarci a ri-centrarci sull'essenziale, sull' “unica cosa necessaria” che Maria ha scelto e “che non le sarà tolta”, mentre Marta sua sorella si affanna e si agita per molte cose (Lc 10, 41-42).

Con Maria si tratta per noi di dissetarsi alla sorgente della Parola eterna di Colui che è venuto a distruggere le barriere che impediscono lo sviluppo della nostra piena umanità. Attraverso Marta e Maria e assieme al loro fratello Lazzaro, la Chiesa ci interpella in modo particolare e ci lancia una sfida: quella della lotta contro la carestia che minaccia la nostra regione. Colui che ha nutrito le folle continua a nutrirci con la sua Parola, la sua Eucaristia e la sua Presenza attraverso lo Spirito Santo; Colui che si è dato in esempio a noi, amandoci fino al sacrificio supremo, ci chiama a imitarlo amando i nostri fratelli che sono nell’angoscia e nella preoccupazione per la carenza di cibo. La nostra Quaresima sarà dunque una Quaresima di solidarietà e di condivisione, di compassione e di fraternità vissute.

La carestia nemica della dignità

I Vangeli ci insegnano che il pane, cioè il nutrimento necessario per una vita decorosa, ha sempre fatto parte dell'insegnamento di Gesù e talvolta delle sue parabole. I pasti sono per lui momenti in cui rendere grazie a suo Padre, ma nello stesso tempo per istruire quelli che lo seguono o quelli da cui è stato invitato a condividere il pasto. Gesù non ha mai smesso di preoccuparsi di nutrire le folle innumerevoli che lo seguivano: “Ho pietà della folla… sono già tre giorni… e non hanno da mangiare.” Più che un nutrimento, il pasto è il luogo della socializzazione, della convivialità e l'espressione della fraternità in azione.

 La fame appare allora come una colpo inferto alla persona, una violazione di quella dignità umana che la Chiesa ha eretto a principio assoluto, riconoscendola a tutta l'umanità senza alcuna distinzione. E’ questa stessa dignità che fa di noi degli esseri preziosi agli occhi di Dio, dunque né l'integrità fisica, né l'integrità spirituale e ancor meno l'integrità morale possono e devono essere calpestate da chiunque sia e per qualsiasi motivo. Avviene purtroppo che alcune circostanze particolari, naturali o provocate, interferiscono nella vita umana delle comunità e provocano situazioni gravi, davanti alle quali l'essere umano si sente diminuito, indebolito e talvolta in pericolo di morte. Questa situazione è quella che stiamo vivendo nella nostra regione. Una carestia senza precedenti colpisce già le famiglie più fragili e più svantaggiate.

Le cause

Davanti a questa realtà, è urgente interrogarci sulle cause di questo flagello ricorrente e quasi cronico nella nostra diocesi.

Questa situazione di grande precarietà a un'origine insieme naturale e strutturale.

Sul piano naturale l'irregolarità delle piogge dell’ultima stagione ha avuto per conseguenza diretta una scarsa produttività agricola. Le piante non hanno ricevuto la quantità d'acqua sufficiente per permettere loro di portare a maturità le spighe di miglio e di mais. La terra non si è impregnata abbastanza di acqua per favorire lo sviluppo del miglio di fine stagione (muskwari), che porta un complemento non indifferente alla sicurezza alimentare delle comunità. A queste cause derivanti dalla degradazione dell'ambiente e del clima, si è aggiunto il passaggio degli elefanti, che hanno distrutto tutto e continuano a devastare campi e raccolti sul loro cammino in numerosi villaggi, seminando la desolazione in seno alle famiglie.

A queste cause naturali è necessario aggiungere cause congiunturali.

La prima deriva dalle speculazioni del mercato. In effetti il picco dei prezzi sul mercato ha fatto passare i prezzi da 1 a 5. Questo picco dei prezzi è dovuto ai commercianti, che approfittano della situazione per accentuare una penuria alimentare spesso provocata, per accrescere i loro guadagni. Un atto moralmente riprovevole. Nessuno ha il diritto di arricchirsi alle spalle dei poveri e degli indigenti.

La situazione di insicurezza che prevale nell'Estremo-Nord del paese da qualche anno ha un impatto considerevole sui movimenti delle popolazioni, e compromette gravemente la qualità delle attività economiche transfrontaliere. Boko Haram, questa setta perniciosa, ha obbligato migliaia di persone ad abbandonare le loro terre e i loro pascoli e a emigrare lontano dai loro villaggi, riducendo così il numero di braccia suscettibili di occuparsi della terra.

La forte crescita demografica incontrollata costituisce una sorta di circostanza aggravante per la sicurezza alimentare: una terra coltivata 20 o 30 anni fa anni da una sola famiglia, deve servire oggi a 5 famiglie. La pressione sulle terre diventa così forte che la loro produttività se viene necessariamente diminuita provocando delle rotture drammatiche a livello alimentare.

Dei fattori socio-culturali aumentano a loro volta il rischio di carestie. La trasformazione di grandi quantità di miglio in birra tradizionale indebolisce la sicurezza alimentare. Le aziende produttrici di birra, fornendosi del sorgo nella nostra regione, costituiscono un fattore maggiore della penuria dei prodotti alimentari che ci colpisce in modo così forte.

Le conseguenze

Migliaia di persone si troveranno ad affrontare una rottura alimentare suscettibile di compromettere la loro vita. Milioni di bambini andranno a dormire a pancia vuota. Migliaia di donne incinte si confronteranno con il rischio di perdere il loro bambino alla nascita. La crescita intrauterina dei bambini così come il loro sviluppo fisico e intellettuale potranno essere ostacolati da un'alimentazione inadatta e scarsa. I cereali, che sono alla base dell'alimentazione quotidiana, saranno troppo cari sul mercato. Questa è la situazione nella quale già viviamo.

 La povertà endemica delle nostre popolazioni è conseguenza diretta di questa precarietà ricorrente. La nostra gioventù, di cui sappiamo quanto la crescita e la maturità dipendono da una buona alimentazione, è una vittima di questa carestia che si annuncia. Corriamo il rischio di cadere in un circolo vizioso che accentuerà la debolezza economica delle nostre popolazioni, esponendole alle malattie e all'insieme di tutte le sofferenze umane che ben conosciamo.

 Davanti a questo flagello della carestia il mio cuore di padre si commuove profondamente. Non c'è più grande dispiacere né dolore più amaro per il mio cuore di Pastore che pensare che ci sono tanti bambini che vanno a dormire ogni sera senza mangiare! Non potevo dunque impedirmi di incoraggiarvi a “prendere il toro per le corna” e a mettere in atto tutto quanto possibile per limitarne gli effetti negativi.

 Le soluzioni

 Cari figli e care figlie, la speranza è la virtù teologale che ogni cristiano porta ancorata al cuore. Essa ci assicura che Colui in cui abbiamo creduto non ci lascerà mai cadere. Ma ci invita a lavorare alla ricerca di soluzioni ai problemi con i quali siamo spesso confrontati. Questa Quaresima è dunque l'occasione per cercare in comunità, in tutte le associazioni, nei nostri diversi luoghi di vita, delle risposte alle difficoltà che vivono i nostri fratelli.

 Invito tutti i cristiani della Diocesi, come anche tutte le persone di buona volontà, a organizzarsi in modo solidale per mettere un freno alla carestia che si annuncia e che colpisce già alle nostre porte. Come Giovanni Battista che chiamava i suoi concittadini alla conversione, io dico: cambiamo i nostri cuori, che quelli che hanno due tazze di miglio condividano con quelli che non ne hanno, che quelli che hanno un po' d'olio ne diano a quelli che non ne hanno (1Re 17, 7-16), che quelli che hanno del pesce pensino a chi non ne ha. Nei  Vangeli sono tanti i miracoli provocati dalla generosità e dalla gratuità del dono. Che ognuno dia secondo i propri mezzi, come i primi cristiani. Vi esorto a mettere alla prova la promessa di Cristo: la misura che utilizzerete sarà utilizzata per la vostra ricompensa (Mt 7,2). Più donerete, più riceverete.

 Inoltre vi supplico, cari figli e figlie, di evitare lo spreco di cibo sotto qualunque forma. Tutte le volte che saremo tentati di gettare un pezzo di cibo, ricordiamoci che quello potrebbe servire a chi manca del minimo vitale. E dunque è giusto è buono che adottiamo dei modi ragionevoli e differenti di consumare il cibo.

  Promuovere un'agricoltura sostenibile e rispettosa dell'ambiente ma anche lavorare a diffondere delle nuove tecniche agricole.

 Non riusciremo a sconfiggere questo flagello se non siamo capaci di unire le forze. Di qui l'urgenza di creare delle associazioni umanitarie che lavorino in rete. Queste associazioni, tra cui il Codas-Caritas (la nostra agenzia di promozione della solidarietà e della carità diocesana), devono lavorare razionalmente e identificare con attenzione le sacche di precarietà alle quali bisogna apportare delle soluzioni adatte.

 Il mio appello dunque non si indirizza soltanto alle famiglie, ma agli uomini e donne che nella nostra società hanno qualche responsabilità. Io le scongiuro di fare tutto quello che è in loro potere per rovesciare la situazione: autorità tradizionali, amministrative, religiose e uomini politici… E’ giunto il momento di lavorare di comune accordo per scongiurare l'insicurezza alimentare. Questo compito richiede l'impegno deciso di tutti e di ciascuno.

 Sono rivolte a noi le parole dell'evangelista San Matteo: “Ho compassione di questa folla perché da tre giorni queste persone stanno presso di me e non hanno da mangiare.” (Mt 15,32) e chiamo in causa le autorità pubbliche e specialmente il Presidente della Repubblica, portando fino a lui il grido dei poveri. La franchezza che conviene al mio incarico apostolico, così pieno di responsabilità, mi spinge a mettere sotto i vostri occhi la realtà in tutta la sua gravità e mi obbliga ad aggiungere che la situazione è davvero critica è che migliaia di vite sono in pericolo.

Approfittiamo di questo tempo di Quaresima, cari fratelli e sorelle, per attaccare senza indugio il male alla radice, per lottare insieme come famiglia, comunità, parrocchia, diocesi contro questa “malattia” che in parte noi intratteniamo con la nostra negligenza e la nostra irresponsabilità. Lottare contro la carestia è prima di tutto identificarne le cause, in particolare quelle sulle quali noi possiamo agire.

È arrivato il momento di dire no alla carestia attraverso una vera presa di coscienza. Se non facciamo nulla contro la carestia, alla quale si ha tendenza ad abituarsi, essa rischia di influire sulla nostra maniera di concepire la vita, di sentire e di agire. Un cristiano, cosciente della sua dignità, deve prendere precauzioni utili al momento giusto per essere al riparo dalla carestia.

Dobbiamo lottare per il nostro diritto al cibo necessario per vivere.

Signore nostro Dio, tu vuoi che noi siamo gli strumenti del tuo amore per ogni creatura.

Ispiraci una carità più viva verso i nostri fratelli che soffrono per la carestia;

mostraci come lottare contro questo flagello.

Aiutaci a vincerlo con loro, perché abbiano una sorte più umana

e possano riconoscere che tu li ami. Amen.

 

 Barthélemy Yaouda Hourgo, Vescovo di Yagoua