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In punta di piedi: partecipare ai funerali con la gente di Keba

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12 Giugno 2023

Siamo al funerale di una giovane mamma cristiana. Ulcera non diagnosticata in tempo, curata troppo tardi. Questa coppia si amava molto e nel tempo ha sofferto il dramma di perdere ben 9 dei 14 figli. Il marito piange accanto al cadavere. Ma non si può ancora preparare la salma per la sepoltura perché le famiglie allargate non hanno terminato il loro dialoghi rituali e ci vorrà ancora molto tempo per arrivare in Chiesa ...

Keba è un villaggio di circa 14000 abitanti, la tribù maggioritaria sono i Bahemba, ma c'è anche qui come in tutta la Repubblica Democratica del Congo una mescolanza con altre tribù. Il fatto che sia una zona difficile da raggiungere (le strade impraticabili e le lunghissime distanze dalle grandi città) provoca la sensazione di un certo isolamento e una mentalità abbastanza chiusa. Oltre che la persistenza di aspetti tradizionali altrove abbandonati o attenuati.

Noi stiamo muovendo i primi passi di conoscenza di questa cultura, dai tratti anche nuovi, rispetto alle altre che abbiamo incontrato qui in Congo. La nostra sorella, congolese, ci conferma questo senso di novità che sperimentiamo davanti a molti avvenimenti, tra questi c’è il modo di vivere il funerale.

Come avviene un po’ in generale nella mentalità africana, non ci si interroga molto sulla malattia che ha provocato il decesso, ma si cerca il colpevole a cui attribuire questa morte, specie se in famiglia c’erano già dei conflitti. In questi caso il funerale va per le lunghe, perché non riescono a mettersi d’accordo.

I problemi maggiori si riscontrano quando muore uno dei due sposi: la famiglia del vedovo/vedova deve rendere conto di questa morte alla famiglia allargata del defunto. Mettono in piedi la “palabra” africana, sotto l’albero: un lungo dialogo, quasi teatrale, di domande, risposte, accuse, difese in cui si affrontano i due gruppi familiari, ognuno con il proprio portaparola. E quando sembra che si arrivi ad un’intesa, spesso ricominciano con una provocazione che rimette tutto in gioco: solo dopo il compromesso si può procedere alla preparazione della salma per la sepoltura.

Se una coppia perde un neonato e, ancor di più, se avviene più volte successive, entrambi gli sposi devono seguire delle cure tradizionali a base di erbe e altri riti. Se muore un figlio lontano dal padre, perché la madre aveva abbandonato il marito, il piccolo diventa un “maiti-maneno”, un cadavere problematico, che non si può seppellire senza la mediazione del capo tradizionale o degli uffici della “chefferie”.

Poi nei funerali ci sono i “Wampumba”, un gruppo di disturbatori,  uomini (per i defunti uomini) o donne (per le donne), che vogliono divertire la gente radunata, come dei giullari, con danze, canti, atteggiamenti provocatori verso la salma e i familiari, senza preoccupazione di mancare di rispetto. Si fanno come i “proprietari” del morto, perché chi scava la fossa ha anche il “diritto” di trasportare la salma fino al luogo di sepoltura.

Il Vangelo ha la forza di illuminare dal di dentro ogni cultura e quello che, ad un occhio esterno come il nostro, sembra strano e da correggere, deve essere confermato dai cristiani bahemba, per non ricadere in facili giudizi, che vorrebbero semplicemente spazzare via tutto…

Per evitare questi eccessi e garantire il rispetto del defunto e dei suoi familiari, ai funerali dei cristiani serve una forte mobilitazione della comunità, che interrompe ogni attività per occupare con una presenza orante il tempo fino alla sepoltura. Ci si raduna dentro e fuori la casa del defunto, si veglia la notte, le corali cantano, quando la bara è pronta e la famiglia termina i suoi dialoghi, si lava il cadavere, sorvegliando che nessuno approfitti di recuperare feticci per fini di stregoneria, i giovani, che si occupano di scavare la fossa e di portare la salma in chiesa e al cimitero, lasciano in secondo piano il gruppo di agitatori.

Forse i Wampumba sono da comprendere come un tentativo della cultura hemba di  esorcizzare la paura della morte… In effetti nelle riflessioni fatte nelle comunità di base è emerso che il cadavere fa paura, si teme che lo spirito che ha lasciato il corpo resti a tormentare i vivi.

Anche qui, come un po’ in tutta l’Africa, i funerali sono momenti molto forti, che durano diversi giorni, coinvolgono tutto il villaggio, fanno viaggiare molte persone, perché la presenza è d’obbligo: è qui che si tocca con mano quanto sia prioritaria la relazione e si rendono visibili i legami.

Per la comunità cristiana diventa anche un’occasione di testimoniare cosa sia la “comunione dei santi”, questa unione fortissima, vivi e defunti, nel Signore. Così spiegano ai famigliari di altre religioni, come il defunto non sia solo membro della sua famiglia biologica, ma appartenga anche ad una famiglia spirituale. La fede purifica e valorizza ciò che di vero c’è in ogni cultura.

Elisa Lazzari mmx

Missionaria saveriana, nata a Parma. Dal 2014 vive all'est de la Repubblica Democratica del Congo. Da maggio 2022 fa parte della nuova comunità aperta nella Diocesi di Kongolo (provincia del Tanganyika) sul grande fiume Congo, nel villaggio di Keba. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.