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Il cielo nel grembo di una donna

Virginia Isingrini mmx
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17 Dicembre 2018

«Non avere paura, Maria - le aveva detto l’angelo - perché Dio ti ha colmata della sua benevolenza. Concepirai un figlio, lo darai alla luce e gli darai un nome: Gesù», un nome di uomo, come di tanti altri bambini di quel tempo.

Ma non sarà solo figlio suo. Lo Spirito d’amore la coprirà con la sua ombra e feconderà quel vergine grembo. Anche nel deserto una nuvola aveva avvolto con la sua ombra l’arca dell’alleanza, lì dove erano custodite le Dieci Parole, la presenza viva del Dio d’Israele. L’arca fu persa e poi ritrovata, e poi ancora persa. Nel magnifico tempio di Gerusalemme ne restava solo una preziosissima copia, però vuota perché le tavole di pietra erano andate ormai irrimediabilmente perdute. L’angelo Gabriele annuncia a una ragazza di Galilea, sconosciuta al mondo dei potenti, di coloro che sembrano fare la storia, che il suo ventre sarà l’arca viva in cui il figlio di Dio sarà concepito.

Mai un bimbo è nato in tal modo! Che ne sarà di lei, di Giuseppe, dei loro sogni? Com’è possibile l’impossibile? E allora l’angelo va in cerca di nomi che fanno sussultare tutto l’Antico Testamento: sarà grande, Figlio dell’Altissimo, regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe, santo e Figlio di Dio... E pomagnificat - Copia.jpgi, deve arrendersi e frugare nella storia di quella giovane donna per trovarvi di nuovo quel segno che l’aveva spinto fino a Nazaret: Elisabetta è al sesto mese di una gravidanza inimmaginabile. Sei mesi, tempo dell’imperfetto, del mancante, dell’improbabilità di sopravvivere se quel figlio fosse venuto alla luce. Un segno fragilissimo, nascosto in un ventre che tutti dicevano disseccato. Solo allora Maria dice sì a questo impossibile divenuto palpabile nella forza della Parola del Signore. E questa Parola comincia, in modo improvviso e impercettibile, a farsi carne dentro di lei, e lei ne sarà serva per sempre.

Ma ecco che si alza senz’indugio e in fretta si mette in viaggio verso le montagne di Giuda, così come aveva fatto Davide por portare l’arca alla collina di Sion. Anche Maria ha bisogno di raccontarsi e di raccontare, di confidare a un’altra donna in attesa la sua attesa, di lanciarsi a braccia aperte in un altro abbraccio, «inizio di un cerchio, che un amore più vasto compirà» (Margherita Guidacci). Due donne incinte: un incontro, un saluto, un figlio che sussulta di gioia nel grembo perché ha riconosciuto la visita del suo Signore.

Non si può essere felici da soli. E quanto bisogno ha ancora la nostra terra di liturgie di tenerezza celebrate sulla soglia delle case! Questa nostra povera terra, dove ogni giorno il corpo di troppe donne è straziato e usurpato senza pietà, ha sete di incontri come questi. Elisabetta grida a gran voce, ripiena dello Spirito come gli antichi profeti, che Maria è benedetta, e benedetto è quell’invisible embrione che sta germogliando nel suo seno. È la prima Pentecoste del Vangelo. E Maria aveva bisogno che Elisabetta comprendesse e annunciasse a tutti il senso di quel prodigio. Dio abita lì. Il Cielo nel ventre di due donne.

Perché ogni creatura, ogni corpo, è la casa di Dio, di una bellezza e dignità oltre ogni limite. Se così non fosse, tutto, purtroppo, sarebbe permesso.