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Siamo tralci, non l’albero

Teresina Caffi mmx
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23 Aprile 2018

L’immagine data da questo testo illustra magistralmente tante espressioni misteriose dei testi di Giovanni: la comunione con Gesù Cristo e con il Padre, abitare in lui, essere in lui, nascere da lui, conoscere lui, possedere lui…Nell’immagine, l’idea si fa evidente: impossibile per un tralcio portare frutto se non è connesso al tronco, se non è parte vitale della vite.

Il tralcio che pretendesse vita autonoma si destinerebbe da sé alla sterilità e alla morte. E quanto più il tralcio è vitalmente connesso alla vite, tanto più porta frutto. La potatura che apparentemente lo umilia gli permette di portare più frutto. Tutto chiaro. Felice il tralcio che resta vitalmente connesso alla vite. Felici coloro che così godranno dei suoi frutti.

La questione si fa complessa quando accostiamo l’immagine a noi stessi. Perché siamo nei secoli dell’emancipazione dalla dipendenza di ogni tipo. Emancipazione per tanti versi salutare perché è diventata assunzione di responsabilità: le malattie non piovono dall’alto e non sono guarite, ordinariamente, direttamente dall’alto: ci sono cause contingenti e soluzioni che la ricerca umana può trovare. La miseria non è un destino ma frutto di situazioni che abbiamo creato noi stessi e che possiamo cambiare.

Questo processo, chiamato secolarizzazione, è però giunto, in molta mentalità corrente, a diventare secolarismo: e cioè tralcio staccato, pretesa di essere noi il punto zero da cui tutto comincia e viene. L’uomo si ritrova solo e preferisce la sua solitudine alla vita da figlio, alla connessione vitale e fiduciosa all’Albero che l’ha generato.

La fede cristiana è questo: assumersi tutte le proprie responsabilità tenendo stretta la mano di Dio che è Padre, restando uniti a Colui attraverso il quale la vita abbondante del Padre fluisce nel mondo. Vivere da figli, vivere connessi al suo Figlio Gesù e quindi a Lui domanda un’impostazione di vita nuova, domanda di accettare di essere piccoli mentre dispieghiamo tutte le capacità della nostra intelligenza e tutte le nostre energie vitali.

Come ci ricorda il Papa, non basta essere discepoli di Gesù, occorre portare frutti, cioè “essere discepoli missionari”: i due aspetti sono strettamente uniti nell’ultimo versetto del Vangelo di oggi che è anche il centro e il titolo dell’intero, più vasto passo di Gv 15,1-17: “In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli” (v. 8).

Nel Padre, padrone della vite, nel Figlio, vite di cui siamo i tralci, urge il desiderio dei frutti, che sono: giustizia, dignità, pace, vita piena per tanti esclusi, per tutti; quest’urgenza pulsa nel nostro cuore e chiama a raccolta tutte le nostre energie sparpagliate perché diventino strumento di vita per tanti.

Quinta domenica di Pasqua, Anno B, 29 aprile 2018

Letture:  At 9,26-31;  1Gv 3,18-24;  Gv 15,1-8