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Fare Natale

Teresina Caffi
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25 Dicembre 2017

Una crisi che si dice superata ha riportato abbondanza di luci nelle nostre strade. Anche qualche acquisto fuori ordinanza, un dono fatto e ricevuto fanno parte delle gioie della vita e danno un po’ d’ossigeno ai negozianti. Poi vengono gli appuntamenti di rito, i pranzi e i pomeriggi con parenti e amici, i messaggi augurali. Anche un gesto solidale che tanti sollecitano in questa occasione.

Per chi crede – o crede ancora un po’ – c’è l’appuntamento in chiesa: la Messa, un incontro di riflessione, una veglia, magari anche una confessione che fa sentire più leggeri. Tanti fantastici presepi svegliano in noi sopite emozioni.

Ma cosa significa davvero fare Natale?

Forse anche tutto questo, ma sentiamo che non basta e rischia di lasciarci esausti o scollati dalla vita vera. Che un Dio si faccia carne ci mette davanti al luogo dei luoghi della sua abitazione. Che Dio si faccia essere umano povero, annunciato ai poveri, è un cartello di direzione.

Ci disturba il popolo dei migranti vaganti sul nostro territorio, non di rado senza biglietto sui nostri treni, seduti sfaccendati sulle nostre piazze d’estate o al riparo, d’inverno, in stazioni ormai avare di sale d’aspetto. Gente che ha varcato deserti e mari per tendere un cappello rovesciato a un angolo di strada, o venderci d’inverno una rosa coltivata chissà dove. Quando non finiscono nei rovi della malavita.

Fare Natale con questa realtà, che significa? Quando la febbre è a 40° non bastano le aspirine e noi continuiamo a insistere con quelle. Soluzioni diverse: alcune umanitarie, per salvare, altre impietose e perfino militari, per respingere. Non ricordano, quanti pensano che basti dire: “Non venite!”, che “il povero non ci sente”, come dicono gli Africani.

Fare Natale forse vuol dire dirigersi verso questo presepe inquietante. Provare a chiederci perché dei continenti sono in fuga verso altri su zattere pericolose; grattare la terra alla ricerca delle radici, a costo di ferirsi le dita.

Troveremo forse che molto del loro tribolare ha nel nostro mondo benestante le sue radici, che una politica estera che ha come obiettivo il proprio interesse non può che generare gente in fuga. Che l’obiettivo della crescita e dell’occupazione deve sottostare a principi etici, altrimenti genera ingiustizia.

Troveremo anche che il nostro troppo avere è la coperta avvoltolata che lascia molti coi piedi scoperti. Non è possibile oggi vivere quotidianamente di raffinatezze, quando altri mancano dell’essenziale; voler essere turisti estremi mentre altri sono migranti disperati. Tenere appartamenti chiusi, mentre tanti dormono in macchina o sotto i punti.

Fare Natale deve avere qualcosa a vedere con questa realtà. Forse potremmo cominciare con l’invitare alla nostra tavola, in queste feste, uno di questi percossi dalla vita. Nel piccolo scompiglio della sua presenza, potremmo forse intravedere la visita di Colui che attendevamo.