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Dalla "macumba" alla missione "ad gentes"

Marlucia do S. Cascais
1407
01 Gennaio 2004

Raccontando l’esperienza della sua vocazione, Marlùcia ci rivela quanto sono misteriose e imprevedibili le vie che conducono al Signore.

Lo credereste? La mia fede e la mia vocazione missionaria sono sorte in un terreiro di macumba.

E’ questo un ambiente dove si pratica un insieme di riti religiosi afro–indigeni ancora molto diffusi nell’Amazzonia brasiliana.

Sono nata in una famiglia che abitava e abita ancor oggi nell’isola detta “dei giaguari, allora quasi senza contatti con la città, dove la gente ha le caratteristiche delle popolazioni che vivono lungo i fiumi del bacino amazzonico. Ho radici culturali plurietniche: un nonno, portoghese d'origine, sposò una nera, discendente di schiavi, mentre l’altra nonna era diretta discendente di indios. Questo intreccio ha dato alla mia famiglia caratteristiche variegate, sia per i tratti somatici che per il colore della pelle. Tra noi dodici fratelli, uno è moretto, una biondina e tutti gli altri, me compresa, meticci. Un teologo missionario italiano mi diceva che essere meticci è un dono perché le varie culture assorbite danno la possibilità di un modo più ricco d'affrontare la vita e di relazionarsi con Dio.

In casa mia, come in tutte quelle dell’isola, c’era un piccolo altare su cui erano esposte varie immagini di santi (ad esempio sant’Antonio, san Sebastiano, san Giorgio) assieme a statuette di divinità afroindigene tra le quali dominava Tupinanbà. Davanti a quest'altare si facevano varie offerte rituali, invocando allo stesso tempo santi e divinità senza distinzione alcuna, convinti che tutti insieme ci avrebbero ottenuto i favori di Dio, portandoci a lui.

Molte credenze popolari hanno accompagnato la mia infanzia e adolescenza. Una nonna, soprattutto, ci intratteneva con racconti leggendari che assorbivamo come storie vere e che creavano in noi un senso di mistero e tante paure, ma anche un profondo rispetto per la natura. Ci faceva ascoltare il silenzio del bosco, il fruscio del vento tra i rami, il canto degli uccelli. La foresta era abitata da tanti spiriti, ai quali bisognava chiedere il permesso per entrare a lavorare il terreno, a raccogliere legna e frutta o a cacciare.

La Curupira era la protettrice degli alberi: se i bambini facevano ad essi dei dispetti, ella si vendicava facendoli sparire. Nell’acqua c’era, poi, un altro spirito, il Boto, una specie di delfino, pronto, all’occasione, a trasformarsi in un bel giovanotto che seduceva e ingravidava le ragazze per poi abbandonarle. Anche a questa leggenda era sotteso un consiglio per noi: non fidatevi di tutti i giovani che vi avvicinano.

Va tenuto presente che i missionari erano approdati alle nostre isole solo nel 1980. Essendo in pochi, le visitavano solo una volta l’anno a fine settimana. In tale occasione, dopo un'istruzione catechistica sommaria, davano il battesimo a chi lo desiderasse.

La mia mamma, una donna retta e di gran fede in Dio, era ancora immersa, pur battezzando i figli, nel mondo delle credenze della macumba e stava per diventare mae do santo, una specie di sacerdotessa di quei riti. A un certo momento però le vennero dei dubbi. Il Signore lavorava dentro di lei. Decise così un giorno di andare a Belém, la capitale del nostro Stato, per chiedere illuminazione e consiglio a qualche missionario. Nella chiesa della Mercede incontrò un padre saveriano che la mise in contatto con la parola di Gesù nel Vangelo e le regalò una Bibbia.

Da quel momento i Saveriani cominciarono a frequentare la nostra famiglia, la mia isola e le altre, radunando la popolazione, circa duemila persone, per una catechesi più approfondita. Furono avviate le comunità ecclesiali di base. In piccoli gruppi, lungo le rive di ogni fiume la gente si riuniva per riflettere insieme sulla parola di Dio e per celebrare, in paraliturgie guidate, le domeniche e le feste patronali.

Anch’io frequentavo quei gruppi e mi colpiva la differenza tra le paure suscitate dalle nostre credenze negli spiriti e il contatto rasserenante, pieno di fiducia e di amore verso Dio, proposto dai testi sacri. Il salmo 139 fu il primo passo biblico che lessi, a lume di candela, nella mia casa.

“Signore, tu mi scruti e mi conosci,
tu sai quando seggo e quando mi alzo…
a te sono note tutte le mie vie”

Ricevetti la prima Comunione a vent’anni e la Cresima dopo i miei primi contatti con le sorelle saveriane di Barcarena, che hanno accompagnato la mia maturazione nella fede e il sorgere della mia vocazione.

Penso che fu assistendo alla professione perpetua di una di loro che sentii forte in me il desiderio di donarmi anch’io al Signore nella stessa famiglia missionario-religiosa.
Dopo un lungo cammino di approfondimento teologico e di riflessione sulle motivazioni della mia scelta di vita, e dopo un contatto più diretto con il centro d’origine della nostra congregazione, torno ora in Parà per dire davanti alla mia comunità parrocchiale, nel giorno di Pentecoste, il mio sì definitivo di consacrazione a Dio e al suo Regno.
Ho nel cuore tanta riconoscenza per il Signore che mi ha preso per mano, guidando passo per passo la mia storia. Un pensiero di grande gratitudine va anche alla mia mamma che mi ha sempre sostenuta, con la sua fede straordinaria, anche nei momenti difficili e del dubbio. Era stata lei, anzi, quando conobbe le sorelle, a chiedermi se non mi sarebbe piaciuto diventare una di loro. Eppure sapeva che ciò avrebbe significato per me lasciare la famiglia e il paese.

Alla morte del papà, mentre i miei fratelli avrebbero voluto trattenermi, fu lei a spingermi a partire: “Non puoi restare! Tu devi andare perché è il Signore che ti chiama”. Sono sicura che, qualunque sia la mia destinazione dopo i voti perpetui, ella continuerà ad appoggiarmi in un costante e intenso ricordo di preghiera.