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Donna dell'accoglienza, dell'amicizia, della riconoscenza

Giovanna Meana
843
01 Gennaio 2002

Maria De Giorgi nella Biografia della Madre da lei curata (M. De Giorgi, Va' e di' ai miei fratelli, Celestina Bottego, Fondatrice delle Missionarie di Maria, EMI, Bologna, II edizione, 2000) così la presenta ai lettori: "Chi incontrava Madre Celestina per la prima volta rimaneva colpito dal suo sorriso e dalla serenità che emanava dalla sua figura.

Alta, robusta e imponente nell'aspetto aveva una dolcezza materna che subito metteva a proprio agio.(...).

Il viso ovale, dai lineamenti regolari, era illuminato da un sorriso ora faceto ora più interiore. Limpidi e sereni i suoi grandi occhi azzurri sapevano farsi seri e pensosi come se un'intima presenza la richiamasse improvvisamente altrove. Il suo tratto era garbato, semplice, nobile, come forte e tenero era il suo modo di amare".

Intelligente e colta, era nello stesso tempo alla portata di tutti, spontanea e affabile. Amante della natura, della musica, del bello, ricca di umanità e di intuizione, positiva nella considerazione delle persone, umorista, rendeva gradito e arricchente il suo contatto con chi l'accostava.

Una donna completa insomma che esercitava un certo fascino che non veniva solo dalle sue doti naturali, ma dal mondo interiore in cui viveva, "un fascino difficile da descrivere: era qualcosa di superiore. Ci si sentiva attratti dalla sua presenza; aveva qualcosa di diverso dal solito", ha dichiarato un testimone.

Celestina Bòttego era certamente dotata di un temperamento felice, dolce e forte insieme, aperto e generoso, non timido e neppure spavaldo, coraggioso ma non temerario, incline a dare fiducia ma senza imprudenze né ingenuità. L'attenzione a vivere fino in fondo il messaggio evangelico dell'amore faceva poi della sua vita un dono costante offerto con garbo e discrezione che faceva sentir bene chi si accostava a lei e suscitava il desiderio di essere migliore. Questo era il segreto del suo fascino.

C'era un tratto caratteristico della sua persona che impressionava chiunque si accostasse a lei: l'eccezionale capacità di accoglienza. Con lo stesso calore umano, semplice ma intenso, con cui accoglieva un parente delle sorelle o un benefattore, ccoglieva anche la buona mamma di famiglia che chiedeva un consiglio o il povero che cercava un aiuto, con il suo abituale gesto materno e solenne di allargare le braccia. Questa accoglienza faceva bene a tutti, ma particolarmente ai genitori delle sorelle che venivano a "consegnare" le loro figlie, con il cuore stretto dal dolore per il distacco e il timore di lasciarle in mani sconosciute. Se ne partivano rasserenati e tranquilli, convinti che esse avevano trovato una nuova famiglia e soprattutto una vera madre. Questa accoglienza generosa faceva bene anche alle figlie, sempre accolte in ogni momento e con grande bontà come se fossero attese.

"Questo atteggiamento - dice una di esse - lasciava in noi un'impressione soave e profonda, come un grande desiderio di amare a nostra volta, di accogliere, di essere buoni".

L'accoglienza si faceva poi generosa ospitalità quando serviva a risolvere qualche difficile situazione. Accolse per molti mesi la figlia di un'amica in un periodo difficile della sua adolescenza; una coppia di sposi nell'attesa che trovassero un alloggio adatto; persone sole, anziane o malate perché potessero gustare almeno per qualche tempo il dono di un ambiente di famiglia.Un'altra dote caratteristica fu la sua capacità di intessere amicizie profonde, fatte di interesse per le vicende dell'altro, di partecipazione, di ricordo affettuoso, di preghiera. Alcune amicizie nate ai tempi della scuola o durante il corso di crocerossina, nel suo viaggio in India o nei contatti con i colleghi di scuola o nell'apostolato, durarono tutta la vita.

Era "specialista in amicizia, un'amicizia che ti fa ricordare l'amore di Dio per te", ha affermato qualcuno; un'amicizia che era personale e nello stesso tempo larga verso tutti, "una ricchezza di affetto, sempre satura di soprannaturale; [...] una capacità di amare che credo sia rara da trovarsi". Ovunque andava faceva amicizie e "le persone non dimenticavano più questa donna straordinaria".

Il maestro di musica Paolo Cavazzini che aveva goduto di tale amicizia scrisse: "Queste persone sono doni, [...] strumenti per gli altri. Sono dei pilastri che restano; [...] sono testimonianze toccabili da cui possiamo risalire senza dubbio alla misericordia di Dio, alla grandezza del suo amore. Chi ha la fortuna di incontrarli non può non rimanere colpito e rinforzato nel desiderio della fede, di amare il Signore".

Grande era poi il suo spirito di riconoscenza. A Dio Padre anzitutto, per la vita e i tanti doni ricevuti, per la bellezza del creato che guardava con lo spirito del Poverello di Assisi e la invitava a lodare il Creatore. Riconoscenza al Figlio, per il dono del Suo Corpo e della Parola; riconoscenza allo Spirito Santo, ospite dolce dell'anima e maestro interiore. Riconoscenza per il Papa, i sacerdoti, i benefattori, le famiglie delle sorelle, le sorelle stesse per l'impegno che vedeva in loro per essere fedeli alla vocazione e per l'amore che portavano alla Congregazione che avrebbe desiderato "si distinguesse per questa bella e nobile virtù della riconoscenza che è poi espressione della giustizia" come essa stessa diceva alle sue figlie.

Giovanna Meana.