In Cammino
Ghislaine, saveriana congolese, ora in Brasile, ci parla della sua esperienza vocazionale
Volevo essere suora. La vocazione missionaria l’ho scoperta gradualmente.
Il desiderio della vita religiosa l’ho invece avvertito già da bambina. Abitavo nella parrocchia di Cinpunda (periferia di Bukavu), ma in un posto lontano dalla chiesa parrocchiale, dove c’era un centro di ricerche mediche e la cappella. Alla domenica c'incontravamo per la celebrazione della Parola e la distribuzione dell’Eucarestia. Il sacerdote veniva solo due volte l’anno a celebrare la Messa e una terza volta per la festa delle prime confessioni e comunioni.
In quell’occasione il celebrante, dopo aver distribuito i certificati di battesimo ad ogni bambino, li confessava e poi celebrava l’Eucarestia. Il giorno che anch’io ero pronta a ricevere la prima comunione egli non mi chiamò, perché si era dimenticato in ufficio il mio certificato di battesimo assieme a quello d'altri due bambini. Rimandò perciò la nostra prima comunione all’anno successivo. Per questa esclusione io piansi durante tutta la messa. Alla consacrazione, nel momento dell’elevazione dell’ostia, gridai: “Sarò suora, perché se ci fosse stata una suora in questa cappella sarebbe andata a farmi un altro certificato per permettermi di ricevere anch’io la prima comunione. Non voglio che ad altri bambini capiti ciò che è successo a me.”
Dopo quello sfogo mi sentii tranquillizzata. A casa si fece ugualmente la festa che era già stata preparata. Seppi poi che gli altri due bambini erano stati accompagnati dai genitori a Bukavu per farsi dare la comunione dal vescovo. Il mio papà invece mi disse che, se quella era la volontà di Dio, avrei aspettato un anno. Ma la mia reazione aveva colpito tanto il sacerdote che dopo tre giorni tornò a celebrare un’altra messa, per dare anche a me la prima comunione.
La mia vocazione missionaria
Ho frequentato il liceo in un collegio di suore. L’insegnante di religione ci diceva che la chiesa locale necessita di vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa. Senza riflettere, io la interruppi: “E la chiesa universale?” Lei mi rispose: ”Ha bisogno di missionari”. Con grande convinzione dichiarai allora davanti a tutti che mi sarei fatta missionaria. I compagni di scuola mi derisero: “Chi ti credi di essere?”
Dopo il liceo, tornata a casa, incontrando i missionari saveriani nella mia parrocchia, mi chiedevo perché avessero lasciato la loro terra e il loro benessere. La risposta la trovai in me stessa, riflettendo: sono venuti per farci conoscere ed amare Gesù e il suo Vangelo. Così mi sono confermata nella mia intenzione d'essere missionaria anch’io.
Conoscevo solo suore con abito religioso. Ma io volevo essere suora senza che si notasse. Ne parlai con il padre saveriano della mia parrocchia. Egli mi diede un libretto dove erano elencate tutte le congregazioni presenti in diocesi. A pagina 52 – lo ricordo ancora con precisione – erano presentate le Missionarie di Maria-Saveriane con il loro carisma: l’annuncio del Vangelo ai non cristiani. Lessi che non indossavano un abito religioso. Pensai subito: “Ecco, ho trovato, questa è la congregazione che fa per me”. Avevo poco più di 15 anni.
Tornai dal padre a parlargliene. Egli mi consigliò di continuare la mia ricerca e, per non influenzarmi, fece finta di non sapere che le Saveriane erano presenti in diocesi.
Uscendo dall’ufficio incontrai una ragazza che non conoscevo, maggiore di me. Ella mi confidò che il giorno dopo sarebbe andata ad un incontro proprio dalle Saveriane. Feci di tutto per parteciparvi anch’io, anche se non avevo l’età per farlo. Conobbi così la congregazione e a ventun anni entrai in postulato.
Reazioni in famiglia
Già in collegio avevo desiderato far parte del gruppo di ricerca vocazionale. Essendo ancora molto giovane, dovevo, però, avere il permesso dei genitori. Mio padre me lo rifiutò,. ma io con costanza continuai nella ricerca. Solo due settimane prima dell’ingresso nella casa di formazione delle Saveriane a Bukavu, gli annunciai la mia decisione. Egli accolse la notizia con tanta sofferenza. La sua reazione fu forte: si allontanò da casa e ritornò solo il giorno prima della mia partenza, per darmi la sua benedizione. “Come nessuno ha costretto me al matrimonio, così non posso impedirti di seguire la tua strada”, mi disse.
Da allora, ogni volta che tornavo a casa, godeva nel vedermi felice ed ora, tra i miei famigliari, è il più contento di sapermi missionaria.
Dopo aver completato la preparazione formativa, parte in Congo e parte in Italia, sono tornata alla mia parrocchia d’origine per emettere i voti perpetui.
Fedeltà e condivisione
A gennaio sono partita per il Brasile ed ora sono qui a vivere la missione e condividere il dono della fede con i miei fratelli brasiliani. Pensando al mio cammino vocazionale, leggo in esso tutta la fedeltà di Dio. A questa fedeltà ho affidato la mia vita, sicura che l’amore del Signore mi accompagnerà sempre, perché Egli non può rinnegare se stesso. (cfr 2 Tm 8,13)