Skip to main content

In un paese di primo annuncio

Catarina Candida da Silva
1250
01 Gennaio 2004

Da poco più di un anno sono in Thailandia, un Paese, la cui popolazione è in maggioranza buddista e in piccola parte composta da animisti, cristiani di varie confessioni, musulmani e induisti.

La nostra missione è al nord, dove si concentra il maggior numero di animisti e induisti appartenenti a vari gruppi etnici, con culture e lingue diverse.

E’ in questo contesto che ho la gioia di sentirmi missionaria inviata da Gesù: “Andate in tutto il mondo e annunciate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà…sarà salvo” (Mc 16,15s). 

Anche in Brasile, mia terra d’origine, nel contatto quotidiano con comunità cristiane in formazione, avevo potuto constatare la verità di ciò che i missionari dicevano della missione: si riceve molto di più di ciò che si può dare e, chi evangelizza, è egli stesso evangelizzato. Tanta gente semplice mi ha testimoniato una fede viva e amorosa.

Ora qui, tra persone che stanno procedendo a piccoli passi verso la conoscenza di Gesù, vivo la stessa esperienza, ma in dimensione più profonda. Leggere e udire la Parola di Dio in questo ambiente ha un sapore diverso. E’ come se, qui, dove Dio Creatore, Gesù Redentore e lo Spirito Vivificatore non sono ancora conosciuti, la Parola acquistasse una luce nuova, più intensa. Quando l’ascolto, insieme a quelli che la sentono per la prima volta, e li vedo interessati e avidi di sapere, oppure confusi perché non capiscono, è come se anch’io sentissi il Vangelo in modo nuovo e lo riscoprissi nei loro volti felici o perplessi, davanti a cose mai udite prima.

E’ una gioia sapere che esiste un Dio che ci conosce e ci ama da sempre; che si interessa di noi fino al punto da darci suo Figlio, che muore in croce e poi risorge per donarci il perdono dei peccati e la risurrezione alla vera vita.

Un’altra esperienza forte che vivo qui è il contatto quotidiano con una cultura non ancora permeata dai valori evangelici. Nei nostri paesi cristiani, forse senza rendercene conto, viviamo e respiriamo i valori evangelici di cui sono intessute le nostre culture. Ad esempio, diventa quasi normale per noi sentirci spinti ad aiutare i poveri, gli handicappati, ed essere solidali con chi soffre.

In contesti buddisti o animisti, dove il povero, il portatore di handicap, l’ammalato sono spesso considerati meritevoli di ciò che vivono perché pagano per qualche colpa commessa o perché posseduti da uno spirito cattivo, la compassione è quasi impossibile. Anche coloro che soffrono sono fatalisticamente rassegnati.

Certo una semente del Regno è già presente anche in culture non cristiane. Quando giunge però l’annuncio esplicito del Vangelo, esse si illuminano e si aprono ad orizzonti nuovi di vita. Le mani si allargano alla solidarietà e il cuore all’amore e al rispetto mutuo, perché così ha fatto Gesù.

Annunciare il Vangelo a chi ancora non l’ha ricevuto diventa allora per il missionario una grande gioia, una grazia speciale che lo rievangelizza e lo sostiene nelle sfide quotidiane della missione. Ah, come ora comprendo l’appassionata esclamazione di Paolo: “Guai a me se non evangelizzo!”.

Cari amici, continuate a pregare per noi, perché il Signore ci renda davvero suoi testimoni. Anche questi nostri fratelli hanno il diritto di sapere che da sempre sono amati dal Dio della vita.