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Tenacia dell'amore

Agnese Chiletti
1402
01 Aprile 2006

Nel ricordo di un episodio vissuto in un Centro di riabilitazione per bambini in Cina.

Era il terzo figlioletto di una famiglia contadina. A quattro anni Lin soffriva di idrocefalia. Per il mancato deflusso del liquido cerebrospinale la compressione sul cervello aumentava in modo sempre più grave.

I parenti, dopo aver speso tutti i loro averi per farlo curare dai medici del villaggio, imposero alla madre di recarsi con il bambino in una grande città e di abbandonarlo. Qualcuno lo avrebbe raccolto e forse portato a un orfanotrofio, come succede spesso in casi del genere. La donna non ebbe altra scelta.

Partì con il bambino in braccio, girando di città in città senza mai trovare quella giusta, quella dove avrebbe avuto il coraggio di abbandonarvi il piccolo. Giunse così a Pechino, la capitale, dove ogni giorno sedeva all'entrata della metropolitana. Da passanti frettolosi riceveva alcuni spiccioli per sopravvivere e per comprare qualche analgesico per il piccolo Lin che soffriva di forti mal di testa.

Un giorno la vide un giovane avvocato italiano, che si trovava in Cina per lavoro. Guardò la donna e il bambino e, avvicinandosi a parlare, venne a conoscenza della situazione. La mamma confessò che varie volte aveva tentato di abbandonare il piccolo, ma che poi, sentendolo piangere, era tornata indietro a riprenderselo in braccio e a cullarlo. Il giovane rimase sconvolto, incerto sul da farsi. Dopo aver riflettuto un po', accettò di coinvolgersi nella vicenda, nonostante tutti i grattacapi che le avrebbe immancabilmente procurato. Promise alla donna che sarebbe tornato il giorno dopo con una soluzione e così fece.

Si rivolse subito all'ambasciata italiana, dove un gruppo di persone è impegnato a raccogliere fondi per i bisognosi e presentò il caso. Insieme riuscirono a raggranellare una somma per il ricovero del bambino all'ospedale e per l'intervento chirurgico di impianto di una valvola per il deflusso del liquido cerebro spinale. Alla mamma pareva un sogno vedere che, dopo l'operazione, il suo figlioletto, non aveva più mal di testa. Cominciò allora a preoccuparsi della paralisi spastica, provocata dall'idrocefalo.

All'ospedale dove Lin era stato operato le dissero che il bimbo aveva bisogno di un periodo intenso di fisioterapia. Un medico la informò che esisteva un Centro di riabilitazione per bambini, dove poter usufruire del servizio necessario anche se non poteva pagare. Il medico stesso si impegnò nei contatti e il giovane avvocato italiano l'accompagnò al Centro. Fu così che arrivò a noi il piccolino.

Era talmente sfigurato dalla malattia che gli operatori del Centro avevano difficoltà ad avvicinarlo. Ma la mamma era tanto determinata che in breve tempo indusse tutti a superare la ripugnanza iniziale. Non appena la donna ebbe imparato gli esercizi di fisioterapia necessari a Lin e aver visto in lui i primi miglioramenti, cominciò a pensare agli altri due figli, ancora piccolini, lasciati a casa e dei quali non aveva notizie da tempo. Desiderava molto rivederli, ma temeva un nuovo rifiuto del bimbo malato.

Dopo alcuni giorni di esitazione, anche incoraggiata al Centro, decise l'avventura del ritorno, con la promessa che avrebbe fatto sapere se il bambino era stato accettato o no. Il viaggio fu lungo: 2 giorni di treno e 18 ore di pullman. Finalmente ricevemmo la telefonata: “Siamo stati accolti bene in famiglia, i due fratellini hanno voluto vedere subito Lin.

A distanza di tempo, rileggendo la parabola del buon Samaritano raccontata da Gesù, ho ricordato la vicenda con lo stupore di allora e mi è venuto spontaneo pensare che anche oggi samaritani sconosciuti come quel giovane avvocato italiano, si fermano a soccorrere dei piccoli Lin e le loro mamme bisognose di aiuto.