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Tre sorelle per la missione

Anna, Rosa e Agnese Chiletti
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01 Aprile 2006

Anni fa, Anna, Rosa e Agnese Chiletti di Fiorano (Modena), lasciando i genitori e altri sette fratelli e sorelle, sono entrate, a distanza di qualche tempo l'una dall'altra, nella nostra famiglia missionaria.

Le destinazioni per la missione sono state diverse: in Brasile sud per Anna, negli Stati Uniti ad Harlem per Rosa e in Sierra Leone, poi Cina ed ora Tailandia per Agnese.

Tutte e tre in casa madre prima della partenza di Agnese, hanno risposto ad alcune nostre domande.

Come è nata la vostra vocazione missionaria? 

Anna: Penso che ogni vocazione viene da Dio, è Lui che chiama. Egli si serve però a volte anche di circostanze esteriori per indicarci il cammino da percorrere e suscitare la nostra corrispondenza. Il pensiero della vocazione missionaria cominciò a farsi strada in me quando mi capitò tra le mani una fotografia proveniente dall'Africa. Avrei voluto andare anch'io a portare aiuto e solidarietà a tante popolazioni bisognose. L'esperienza concreta dell'incontro con un altro popolo, nel mio caso quello brasiliano, mi ha fatto poi comprendere che la missione è uno scambio di doni. All'origine della mia vocazione missionaria c'è senza dubbio la fede profonda ricevuta in famiglia dai nostri genitori, le preghiere che ci facevano dire insieme ogni sera per le missioni.

Tutti noi eravamo iscritti all'Infanzia missionaria. Volevo essere missionaria, ma senza vestire un'uniforme religiosa. Un giorno il mio parroco mi disse che a Parma stava nascendo una congregazione di missionarie senza uniforme e che una nostra compaesana, era già entrata tra loro. Avevo 17 anni quando andai a vedere, accompagnata dal papà. Sarei entrata anche subito, ma mi convinsero a restare in famiglia almeno un altr'anno. Quando partii da casa piangevo e la gente diceva: “Non ce la farà”. La mamma pensava invece il contrario: “Sì, ce la farà, l'ha voluto lei!”. All'inizio avevo molta nostalgia. Quando sentivo passare il treno, mi dicevo: “Quello va a Modena!…”.

Rosa: Sono andata un giorno a trovare Anna a Parma. Il primo impatto con l'orario di una comunità religiosa, per me che venivo dalla piena libertà dei campi, mi parve piuttosto pesante. Anch'io però da sempre pensavo alla vita consacrata per la missione e mi tornava in mente spesso la frase di Teresa di Gesù Bambino scritta sull'immaginetta della mia prima Comunione: “Sentendomi amata, ripetevo: ti amo, Signore, mi do a te per sempre!”.

Mi dicevo: anche se avessi 10 figli sarebbe troppo poco, voglio amare il mondo intero. Venivano ogni tanto in paese dei missionari, tra cui il nostro compaesano padre Medici. Vennero anche i nostri fondatori. “Non sarete venuti a prenderne un'altra!” disse loro mio padre. “No, no, papà Chiletti, gli rispose p. Spagnolo, basta una”. E aggiunse quasi sottovoce: “…almeno per adesso”. Anch'io a 17 anni pensavo di entrare, ma il parroco mi convinse ad aspettare per vedere come andavano le cose con Anna, maggiore di me. Mi impegnai a vivere da missionaria a casa e tre anni dopo entrai anch'io tra le Saveriane. La mamma ci diceva: “Andate, ma pensateci bene e sappiate comunque che la porta di casa è sempre aperta”.

Agnese: L'ambiente in cui siamo vissute ci ha educate a condividere. Anche una sola caramella era spezzettata e condivisa fra tutti noi fratelli. Ho conosciuto diverse persone che mi sono rimaste impresse. Ad esempio suor Paola, Missionaria Francescana: una persona semplice e larga di cuore, sempre attenta agli altri. Leggevo la vita di S. Francesco Saverio, di p. Damiano, apostolo dei lebbrosi, di mons. Guido Maria Conforti, fondatore dei Missionari Saveriani.

Nel 1968 Anna e Rosa erano già in missione. Non volendo essere condizionata da loro nelle mie scelte, non dissi niente della mia ricerca. Conobbi un gruppo di volontari missionari, ma anch'io volevo essere consacrata e missionaria per sempre. Quando le Saveriane venivano a casa nostra le osservavo bene. Una di loro mi colpì particolarmente per la sua semplicità e gioia. Il mio direttore spirituale mi avvertì: “Guarda che ti potrebbero chiedere anche di rimanere in Italia”. Non riuscendo a decidermi, iniziai una novena allo Spirito Santo e alla fine decisi. Avevo 21 anni. La mamma mi chiese: “Hai già deciso?” “Sì” e non gliene avevo mai parlato prima. “Mi fai rabbia”, essa allora esclamò, “tanto che non ti preparerei niente di corredo! L'hai detto almeno a tuo padre?” “No”. “Va là, che glielo dico io!”.

Quali sono le più grandi sfide che avete incontrato nella vostra vita missionaria?

Rosa: Quando fui destinata agli USA, rimasi inizialmente delusa, perché avevo sempre pensato all'Africa. Votarsi alla missione senza sapere dove andrai a “sbattere la testa” è una sfida, ma è una scelta di fede. I missionari, le missionarie devono essere sempre disponibili alle esigenze della missione.

Anna: Una grande sfida è vedere che si è limitati e che non si arriva a fare tutto ciò di cui ci sarebbe bisogno e che la gente vorrebbe da noi. Siamo “poveri servi”. Il momento più difficile per me è stato quando in Brasile abbiamo lasciato una diocesi dove avevamo già organizzato un bel lavoro pastorale che cominciava a dare i suoi frutti. Piangevo e pregavo. Avevo quasi la voglia di piantare lì tutto, ma questa tentazione… non trovò spazio in me.

Agnese: Capita che la missione offra opportunità e faccia appelli a cui, per causa di limiti umani e prospettive diverse, non si riesca a rispondere. Anche la vita comunitaria può diventare allora un'avventura di fede e una sfida.

Quali le gioie più grandi?

Agnese: Ho sperimentato che è bello e gioioso donarsi.

Anna: Pur avendo desiderato l'Africa, in Brasile in una missione che non avevo pensato, mi sono sentita felice, Non ho mai scelto di andare qua o là. Ho capito che la cosa essenziale è essere “sua” in ogni situazione e ovunque.

Rosa: Il Signore non ha smesso di dirmi “Seguimi”. Mi trovavo molto bene a New York: nel quartiere di Harlem c'era il mondo intero. Poi è arrivata la telefonata: “Abbiamo bisogno di te qui in Italia”: Mi è dispiaciuto tanto ed ho pregato: “Dammi, Signore la pace della mente e del cuore”. Credo che me l'abbia data. Un pensiero mi raggiunse: “Non ti ho chiesto di capire, t'ho chiesto di dirmi di sì”. Dentro di me nascevano tante domande. Mi aiutò il pensare alle mamme di famiglia che incontravo nel quartiere.

Anche loro avranno avuto i loro sogni, mi dicevo, eppure obbediscono alle esigenze della vita. La loro fede aiutava la mia.