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Un Paese rinasce

Teresina Caffi
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20 Giugno 2006

Teresina Caffi, da febbraio a Bukavu (Repubblica democratica del Congo) per dare corsi di teologia, ci descrive la situazione attuale del Paese.

La fede di molta gente si manifesta nella solidarietà. A Bukavu non cessano di arrivare persone e famiglie in fuga dall’insicurezza dei villaggi, ove bande armate, soprattutto straniere, non cessano di attaccare, rubare, rapire, violentare, uccidere e bruciare case.

Nonostante la precarietà economica, nessun sfollato rimane per strada e la gente condivide il poco che ha.

È dal ’96 che soprattutto l’Est del Paese (ove si trova anche Bukavu) conosce la guerra, ora aperta, ora minacciata, ma in ogni modo presente nelle sue conseguenze.

Un recente rapporto di un’organizzazione statunitense (IRC) parla di 1200 persone che muoiono ogni giorno per conseguenza diretta o indiretta della guerra (penuria alimentare e di cure, uccisioni).

In questi anni è cresciuto tra i congolesi il senso patriottico e, se un tempo molti civili e militari per interesse o per forza hanno condiviso i progetti di conquista di eserciti stranieri (ugandese e rwandese soprattutto), ora la maggioranza della popolazione è consapevole che tutto questo è costato molto sangue e molta sofferenza.

Anche attraverso la radio la gente segue ciò che succede e appena si minaccia un cedimento alle ambizioni espansionistiche dei paesi vicini, scende in strada per manifestare. Studenti, donne, uomini sfilano pacificamente cantando e vanno dalle autorità a dire la loro volontà di essere un Paese unito e libero.

Pur avendo molto subito dall’esercito rwandese (siamo in faccia al Rwanda) non ho mai sentito parlare di quel popolo come di un “nemico”. Dicono: “Questi nostri fratelli”, questi nostri vicini”. Non pensano alla vendetta, ma solo chiedono di poter vivere in pace. Credo che questa non violenza sia un segno del Regno di Dio.
Malgrado la situazione precaria, ho visto tornando una piccola ripresa economica. Qualche benestante costruisce la casa, altri dipingono le loro.

La gente sembra respirare un po’ di più, si veste meglio, anche se con indumenti usati che vengono dall’occidente. ’Io sogno però, e non solo io, il giorno in cui l’Africa dirà: “I vestiti ce li facciamo noi, vogliamo comprarceli nuovi”.

In città la popolazione vive soprattutto del lavoro femminile. Funzionari e insegnati sono pagati pochissimo. Le donne inventano tanti lavori per guadagnare qualche cosa: trasporto a spalla di merci comprate fino alla casa dell’acquirente; mercatini di frutta, verdura, pesce ecc. Gli uomini sono occupati nelle piccole industrie della città, nelle costruzioni, nel commercio, nella riparazione d'oggetti vari. Tutti si danno da fare e guardano con speranza alle elezioni del 18 giugno che dovrebbero finalmente dare al Paese un governo democratico.

Come missionarie saveriane noi, a Bukavu, abbiamo due comunità: una prepara le giovani congolesi che desiderano vivere la vita missionaria; l’altra, di cui faccio parte, accoglie le sorelle che vengono in città da altri posti. In questa seconda comunità siamo in sei: due congolesi che studiano, una che svolge un servizio infermieristico, un’anziana che si occupa dei servizi di casa, poi la responsabile delle varie comunità ed io che sono qui per dare corsi di Bibbia in alcune scuole. Così, tra preparazione e lezioni, le giornate sono piene. Ringrazio il Signore di essere qui tra la gente in questi mesi importanti.

Penso che saranno i poveri a tirarci su in Paradiso con il loro cuore misericordioso. Qui percepisco meglio la mia distanza da loro e, nello stesso tempo, sono rincuorata dalla loro accoglienza.