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La giornata Onu vista dal Congo

Teresina Caffi mmx
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10 Dicembre 2018

La Giornata Onu vista dalla RD Congo, uno dei luoghi del mondo in cui l’idea dei diritti umani non è né diffusa né scontata, e anzi è spesso ostacolata dall’ossequio a una malintesa “volontà di Dio”.  Ma c’è chi non tace.

 Quando a Bukavu, nell’Est della Repubblica democratica del Congo, durante il corso di dottrina sociale della Chiesa cattolica, arrivavo ai diritti umani elencati e sviluppati da papa Giovanni XXIII nella Pacem in terris, pensavo sulle prime di non dire nulla di nuovo e che la classe di un centinaio di giovani avrebbe continuato il consueto mormorio. E invece le orecchie si tendevano e diventava quasi tangibile un senso di liberazione.

Diritto alla vita, alla cura, alla protezione nelle condizioni di fragilità; diritto allo studio; diritto alla parola, diritti economici, diritto di associazione, diritto di scelta del proprio stato di vita, diritto di migrazione, libertà di religione… Su quest’ultimo punto le opinioni erano divergenti. Tranne a qualche voce solitaria, a molti e molte sembrava normale che il matrimonio comportasse per la donna l’adesione alla religione del marito.

Mapenzi ya Mungu! Volontà di Dio

Percorrevo a Bukavu, un giorno, una strada fiancheggiata da ville. «Che distanza – ho detto a un passante – fra queste case e le abitazioni dei poveri!». «Dio crea alcuni ricchi e alcuni poveri – mi rispose –. È la sua volontà!».

L’espressione diventa una botola su tante sfide: “Mapenzi ya Mungu! (volontà di Dio)”. In questo modo certa gente di Chiesa conforta chi ha subito un lutto, una disgrazia: è Dio che l’ha voluto. Si vuol così evitare la ricerca presso gl’indovini della persona malevola che ha inviato un tal male, tradizione nefasta come poche. Però al costo di rendere Dio il grande, capriccioso stregone!CongoMalati.jpg

Poiché si tratta della volontà di Dio, non resta che accettare. Il verbo “sopportare” (kuvumilia) impazza. Attendere che Dio cambi idea, magari sollecitandolo attraverso lunghi canti gridati e al rullo del tamburo di notte o in pieno giorno, quando i poveri potrebbero racimolare qualcosa per sopravvivere.

Molte Chiese dette “del risveglio” sono specialiste in questo addormentamento, vero oppio che svuota le magre tasche dei poveri. Infatti non può mancare l’offerta al pastore. Allora, Dio darà – il pastore lo promette – l’aiuto sperato: la guarigione, la riuscita a scuola, un lavoro, un marito… Questa mentalità s’infiltra anche nel mondo cattolico. «Come, mandi tuo figlio in vacanza senza versare un’offerta per questo? Non lamentarti se gli capita qualcosa!», diceva una volta una donna in una comunità ecclesiale di base.

L’annuncio da fare nella RD Congo non è il nome di Dio, né quello di Gesù – che sono su tutte le bocche – ma chi è il Dio di Gesù. La sfida è svegliare lo sforzo di porsi la domanda e trovare la risposta con l’aiuto della scienza. Quando sento criticare la secolarizzazione – ben diversa dal secolarismo – penso a tanti poveri oppressi da risposte improprie, e che hanno bisogno di liberare l’orizzonte da interpretazioni immediatamente religiose dei loro problemi.

La vergogna dell’oppresso

A tutti i livelli di scuola, alunni e studenti debbono pagare una tassa mensile – la “prime” – cui si aggiungono lungo l’anno vari balzelli – per integrare lo scarso salario degli insegnanti o pagare gli insegnanti che non sono nella lista statale. Eppure la Costituzione afferma: «L’insegnamento elementare è obbligatorio e gratuito nelle istituzioni pubbliche» (art. 43).

«La questione della “prime” pagata agli insegnanti è diventata una vera spina ai piedi dei genitori, un crimine che nessuno vuole togliere né fermare, tranne le famiglie vittime che non ne possono più. Da diversi anni la miseria del popolo non ha fatto che crescere fino a far vacillare i diritti fondamentali… (salute, educazione, dignità umana, ambiente sano, ecc.). Nessuna cura politica forte è stata somministrata a questo problema sociale».

Prima ancora del conseguente analfabetismo e rischio di entrare in gruppi armati, sono da notare le ferite interiori:

«I bambini sono trattati come oggetti, non come persone. Sono umiliati, vivono la vergogna, si colpevolizzano di non andare a scuola, non hanno più alcuna percezione di esistere né per i genitori né per gli insegnanti! La collera che ribolle nel loro cuore, il trauma di cui sono vittime, e, peggio, la ferita interiore che spezza la loro piccola persona e le cui conseguenze drammatiche rischiano di accompagnarli fino alla fine dei loro giorni, chi li prenderà in considerazione?».

Qualcuno c’è

Il denaro ha introdotto la follia dell’avere che la società tradizionale non conosceva. Le disparità mondiali si affiancano nella città di Bukavu. Le ricche ville dei quartieri sul lago Kivu hanno alle loro spalle quartieri popolari affollatissimi e precari. Non passa anno che non ci siano smottamenti che seppelliscono case e persone. In uno stato che quasi non si prende cura della sua popolazione, il denaro conta molto: è possibilità di studiare, mangiare, curarsi, avere ragione in giudizio e perfino essere seppelliti degnamente.

Anche il diritto a un giusto salario stupiva i giovani studenti. Del resto, la loro sfida era un’altra: trovare un lavoro. Container su container entrano in città portando merci dall’estero… Container su container portano fuori Paese minerale ancora grezzo. «C’è qualcuno che ama questo Paese?», vien da gridare come in una grande officina vuota.

Sì, qualcuno c’è. Persone cui il senso dei diritti brucia dentro. Negli anni Ottanta, Joseph era venuto a dirmi: «Non sopporto di vedere la gente in strada ingiustamente multata dai soldati». L’inquietudine sfociò nel suo impegno sociale durato negli anni. E Paul, in piena guerra, scendeva dal suo villaggio in città con rotolini di carta nascosti con i nomi delle vittime, per farlo sapere al mondo. Laurent e Jean hanno lottato senza violenza a fianco di una popolazione espropriata della sua terra. Tanti sono morti per la verità: un vescovo come Christophe Munzihirwa, giornalisti come Serge Maheshe, difensori dei diritti umani, come Evariste Kasali… Recentemente è morta di malattia la giornalista Solange Nsimire Lusiku, coraggiosa voce degli oppressi. Sono loro il grembo in cui cresce un Congo nuovo.

Articolo pubblicato sul sito "Il regno delle donne"

Foto in alto: bambine che pestano la manioca

Foto nel testo: trasporto malati