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“Siamo diventate più belle!”

Maria Teresa Gargiulo mmx
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22 Gennaio 2018

Maria Teresa Gargiulo ha trascorso la quasi totalità dei quarant’anni vissuti in Messico nel territorio della Huasteca, nella regione di Hidalgo, abitata da discendenti degli antichi Aztechi, e precisamente nel villaggio di Santa Cruz.

Arrivando a Santa Cruz nel 1974, i missionari Saveriani trovarono un ambiente indigeno molto povero rispetto al resto del Paese. Soprattutto le donne, con i loro bambini, erano in difficoltà e spesso si rivolgevano ai Padri per chiedere aiuto. I Padri chiesero allora a noi Saveriane di venire e vedere che cosa fare per le donne.

Emilia fu la prima a giungere, insieme a Vichy. Pensarono di proporre una scuola di formazione per le donne, ma la risposta fu scarsa: premevano necessità più primarie, soprattutto la fame. Un’associazione di San Juan de Rio aveva dato alle donne delle stoffe, dei fili e una macchina da cucire e poi recuperava i lavori, ma il compenso era scarso.

Nel 1984 giunsi a Santa Cruz per continuare il lavoro appena iniziato da Emilia. Vedendo la capacità che le donne manifestavano nel ricamo delle loro camicette, con fiori multicolori a punto croce, pensai di cominciare da lì, anche se non sapevo bene come.

Un parroco di Città del Messico, p. Jorge Aigner, tedesco, venne a trovarci con un gruppo di giovani per un’esperienza missionaria. Ci invitò a portare i lavori delle donne nella sua parrocchia per la vendita. Fu per esse una boccata d’ossigeno. Vendendo loro stesse i lavori, potevano essere meglio pagate. Svilupparono una grande creatività, ricamando non solo camicette, ma vari articoli per la casa: tovaglie, tovaglioli, centri-tavola, presine, astucci, e anche tovaglie da altare, paramenti liturgici… Ricamavano fiori, ripresi dai disegni tradizionali con la loro grande armonia di colori.

Santiago Milani, uno dei primi Saveriani giunti a Santa Cruz, mi aiutò a capire che quei disegni erano espressione della loro cultura, del loro senso del creato e della loro religiosità. Quando all’inizio chiedevo alle donne perché facessero quei lavori, mi rispondevano: “Quando vedi che in cucina non c’è niente, allora ti svegli e ti muovi per vedere ciò che puoi fare”.

Nel 1995 abbiamo formato una cooperativa, la “Società di solidarietà sociale”, riconosciuta dal Governo con diritto di compravendita ed esente da tasse. Le donne la chiamarono secondo il nome in cui si identificavano, “Tixochichihuane”, cioè “noi siamo quelle che fanno fiori”. Essa è totalmente gestita da loro.

Col passare degli anni, mi sono resa meglio conto che per le donne quest’attività non significa solo guadagnarsi qualche soldo: è promozione di dignità. Grazie al loro lavoro, hanno gestito dei soldi, hanno provveduto al cibo, alle cure, alla scolarizzazione dei figli. Hanno preso coscienza della loro importanza e ne hanno acquisita in famiglia e di fronte alla comunità - così si chiamano i nuclei sociali indigeni -, ove ora hanno diritto di parola. In alcune famiglie è nato un dialogo fra marito e moglie. Le donne si sono sentite stimolate a curare il loro aspetto fisico, perché devono uscire per ricevere le stoffe, consegnare i lavori e fare la spesa. “Siamo diventate più belle”, ha detto in un’occasione una signora, ed è vero.

Attualmente, la cooperativa conta ventiquattro socie, il numero massimo. Le donne che lavorano però sono oltre cento, non solo nel villaggio di Santa Cruz, ma anche in altre quattro comunità vicine. Durante l’anno ci sono assemblee delle socie e assemblee di tutte le signore che lavorano.

Le donne lavorano a casa loro, perché si tratta di un lavoro lungo e di pazienza, così possono seguire la loro casa e i figli. Tre donne lavorano come coordinatrici nel locale della cooperativa e ricevono un piccolo stipendio. Sono loro che consegnano alle altre donne le stoffe e ricevono e pagano i lavori, valutandone il valore insieme a chi li ha eseguiti e riservando un piccolo guadagno alla cooperativa perché possa continuare. Rifiniscono i lavori e mettono l’etichetta della cooperativa, per poi inviarli per la vendita. La parte più difficile è trovare chi acquista.

Abbiamo cercato di promuovere anche altre attività: alcune donne fanno un piccolo commercio in casa di alimentari o casalinghi, altre preparano e vendono i panini dolci tradizionali della zona; alcune frequentano il corso di taglio e cucito che abbiamo proposto e confezionano vestiti.

Da quando è nata la cooperativa, tutto è in mano delle donne; essa si autogestisce e, a parte gli inizi, non ha più bisogno di aiuti esterni. Non solo, ma le signore sanno individuare e soccorrere le situazioni difficili della comunità: un ammalato che ha bisogno di cure, una casetta da ricostruire, dei bambini da scolarizzare…

Quello che è cresciuto fra queste donne è un cuore buono, la sollecitudine, il senso di compassione per la gente e l’impegno a fare il possibile per rispondere alle necessità. Esse sono per me occhi, orecchi e cuore, e mi segnalano le situazioni di difficoltà: segno che il senso della misericordia e della solidarietà le abita. E questo per me è Regno di Dio. Non sono tutte cattoliche: alcune sono protestanti, altre hanno aderito alle nuove chiese di recente diffusione, ma la solidarietà varca anche le differenze religiose. Il tempo che ancora il Signore mi darà sono felice di spenderlo con questa mia gente presso la quale mi sento a casa.

Per informazioni e richieste di lavori: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.; Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.