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La terapia del Padre Nostro

Teresina Caffi
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10 Ottobre 2017

Echi di incontri a Mboko, lungo il lago Tanganika, nella Repubblica Democratica del Congo.

“Hai sbagliato strada, il sentiero è questo!”, mi dice dal suo cortile sorridendo una donna mentre scendo verso la parrocchia di Mboko. Da anni questa zona è senza suore, partite prima della guerra.

Ora poi la loro casa è distrutta, dopo che durante la guerra i soldati hanno asportato tutte le parti vendibili.

Nei pochi giorni vissuti con loro, approfondiamo alcuni testi biblici con i responsabili delle comunità cristiane venuti da diverse parti. La parrocchia è composta di villaggi lungo il lago Tanganyika e alcuni sulle montagne. È sulle rive di uno di questi villaggi che nel 1880 sono sbarcati i primi Missionari d’Africa, chiamati “Padri Bianchi” per la loro lunga tunica bianca, in provenienza dalla Tanzania ed è cominciata l’evangelizzazione. 

La sera, nelle conversazioni libere, il discorso si porta sui recenti fatti di guerra vissuti. La guerra del 1996-97 e soprattutto quella del 1998-2003 sono state guerre contro i civili. “Abbiamo visto cose orribili – racconta un responsabile di comunità -, vivevamo ogni giorno con la morte senza sapere se sarebbe venuta mattina. Molti sono fuggiti al di là del lago, in Tanzania, altri sono rimasti, anche per custodire le cose della chiesa. Adesso cerchiamo di costruire la pace.”

Penso a come è difficile il perdono. A come esigiamo riparazione anche per un vetro rotto. A quante sedute da esperti psicologi ricorriamo per gestire i traumi della nostra vita. Qui, la gente è tornata a vivere la sua vita, nessun esperto, nessun terapeuta. E neppure, come sarebbe giusto, nessun giudizio e nessuna riparazione.

Un catechista dice: “Un mio vicino durante la guerra ha ucciso mio padre. Vedevo poi che ci evitava, aveva paura di noi, era imbarazzato. Sono andato da lui e gli ho detto: So che cosa hai fatto. Ma ora lasciamo cadere, la guerra è finita, torniamo fratelli, andiamo avanti. I tuoi figli mangeranno a casa mia e i miei prenderanno cibo da te. E così è stato. Ho capito che tra l’offensore e l’offeso, è l’offeso che deve fare il primo passo”. Altri confermano la sua scoperta.

“Ma dove avete trovato la forza per portare tutto questo passato e andare avanti nella pace?”, chiedo stupita. Un vecchio catechista sorride e risponde: “Nel ‘Padre nostro’, quando diciamo: ‘rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori’. È il momento di mostrare che siamo cristiani, che crediamo a queste parole. Ricordo spesso le parole di Gesù in croce: ‘Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno’.”.

Teresina Caffi