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Rumori di guerre e campane di pace

Maria De Giorgi
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29 Agosto 2017

In un mondo in cui sempre più minacciosi sembrano rullare tamburi di guerra, in cui vittime innocenti, e spesso senza nome, si contano ormai a migliaia,

l’eco – spesso ignorata ma non zittita – di campane di pace non cessa di diffondere nei cieli l’antico e sempre nuovo monito: «Nessuna guerra è santa, solo la pace è santa».

In Giappone, ogni anno nel mese di agosto, nei drammatici anniversari dei bombardamenti atomici su Hiroshima (6 agosto 1945) e Nagasaki (9 agosto 1945), l’eco delle campane di pace si diffonde con struggente mestizia e con lucida gravità per ricordare al mondo la mostruosità di ogni guerra.

Monte Hiei (Kyoto, Giappone), 4 agosto 2017. Momento del “mokuto”: preghiera silenziosa per la pace di tutti i partecipanti al Summit delle Religioni.

Da trent’anni, poi, alle ormai storiche campane di Hiroshima e Nagasaki si accompagnano anche i solenni rintocchi delle campane a percussione del Monte Hiei (Kyoto), centro del Buddhismo Tendai, dove dal 4 agosto 1987 si celebra ogni anno il Summit delle Religioni in esplicita e dichiarata continuità con l’incontro interreligioso di preghiera per la pace convocato ad Assisi nel 1986 da S. Giovanni Paolo II.

Tra i partecipanti di quello storico incontro vi era, infatti, l’allora capo supremo del Buddhismo Tendai, il Ven. Yamada Eitai, che in profonda sintonia d’intenti con Giovanni Paolo II decise di indire ogni anno sul Monte Hiei un analogo incontro di preghiera per la pace convocando rappresentanti religiosi da tutto il mondo.

Quest’anno, come lo scorso anno ad Assisi, il trentesimo anniversario è stato celebrato con particolare solennità e con la partecipazione di importanti leader religiosi, rappresentanti delle varie Scuole Buddhiste, dello Shintoismo, dell’Ebraismo, delle Chiese e comunità cristiane (Cattolica, Ortodosse, Anglicana, della Riforma), dell’Islam sunnita e sciita, dell’Induismo, dello Zoroastrismo, delle cosiddette Nuove Religioni e di varie Organizzazioni impegnate per la pace, come Religions for Peace.  

La Chiesa cattolica è stata quest’anno rappresentata da un’autorevole delegazione vaticana formata da S. E. il card. John Tong Hon, arcivescovo emerito di Hong Kong, delegato personale di Papa Francesco e latore di un suo messaggio; S. E. mons. Joseph Chennoth, Nunzio Apostolico in Giappone; S. E. mons. Miguel Angel Ayuso Guixot, Segretario del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso e mons. Indunil Kodithuvakku, sottosegretario dello stesso Dicastero.

Erano inoltre presenti S.E. il card. John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja (Nigeria), nella sua qualità di membro di Religions for Peace; i Francescani del Centro Francescano Internazionale per il Dialogo dell'Ordine dei Frati Minori Conventuali di Assisi; e alcuni rappresentanti della Comunità di S. Egidio da decenni impegnati in prima persona a diffondere ovunque lo «spirito di Assisi».

Su richiesta della Commissione per il dialogo interreligioso della Conferenza episcopale giapponese, di cui da anni sono Consultrice, ho avuto il privilegio di accompagnare e fare da interprete alla Delegazione vaticana, sia durante il Summit delle Religioni sia durante le celebrazioni commemorative di Hiroshima e Nagasaki, contrassegnate da importanti momenti multireligiosi.

Il Summit delle Religioni, tradizionalmente celebrato il 4 agosto, è stato quest’anno  preceduto da una giornata di studio e confronto dedicato all’ormai ineluttabile tema del terrorismo e all’urgenza, altrettanto inderogabile, di una fattiva collaborazione interreligiosa per contrastare l’inquietante fenomeno. Al Summit hanno partecipato un migliaio di persone venute da tutto il Giappone e dall’estero.

Il messaggio di Papa Francesco, letto da S. E. il card. John Tong Hon e consegnato personalmente al Ven. Morikawa Koei, attuale capo supremo del Buddhismo Tendai, è stato un pressante appello a tutti i partecipanti a promuovere in ogni luogo e in ogni situazione «relazioni giuste e solidarietà fraterna»; a «pregare e lavorare insieme per la costruzione di una cultura dell’incontro e della pace»; «a porre fine alle tante, troppe lacerazioni provocate dalle guerre e dal terrorismo». 

Da parte sua, S.E. mons. Ayuso Guixot, ha ribadito come preghiera, dialogo, rispetto e solidarietà siano le uniche “armi” vincenti che ogni Religione può e deve usare contro il terrorismo, il fondamentalismo e ogni forma di violenza.

Nel Forum del pomeriggio, tra i relatori era presente anche S. E. mons. Joseph Mitsuaki Takami, arcivescovo di Nagasaki, attuale Presidente della Conferenza Episcopale giapponese e testimone autorevole dei devastanti effetti dell’atomica sulla seconda città martire della follia bellica. A fronte delle recenti minacce atomiche provenienti dalla Corea del Nord – mons. Takami ha ribadito la necessità di una mobilitazione della comunità internazionale per mettere definitivamente al bando ogni arma di distruzione di massa.

Momento culminante della celebrazione al Monte Hiei è stato il “mokutō”, ossia la preghiera silenziosa di tutti i presenti, un migliaio di persone. Tenendoci a vicenda per mano, nel rispetto l’uno della fede dell’altro e animati dallo stesso desiderio di pace, ognuno - nell’intimo del proprio cuore – si è rivolto a «quell’unico e ineffabile Mistero che – come dice Nostra Aetate, (n.1) – circonda la nostra esistenza, da cui traiamo la nostra origine e verso cui tendiamo» in una superiore comunione che ha nella «multiforme sapienza di Dio» (Ef 3,10) la sua radice e il suo inveramento.

2017 057Nel profondo e intenso silenzio di quel momento, mentre stringevo le mani delle due persone che mi stavano accanto, in una catena umana che accomunava tutti i presenti, risuonarono spontaneamente in me le parole del I Libro dei Re che narrano l’esperienza di Elia: «Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento, un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto, un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna» (I Re19, 11-13).

Sentivo che Dio era lì presente tra i Suoi figli, e che nel “silenzio” proclamava il Suo Nome: Pace, Peace, Paz, Shalom, Salam, Heiwa, Héping, Shaanti, Amani... Ho capito con più lucidità che solo quando impareremo a declinare questo Nome di Dio in tutte le lingue, accogliendo l’uno il dono dell’altro e tutti insieme il “Dono d’amore” che è Dio stesso, saremo avvolti dalla «brezza leggera» e «ardente» della Sua Presenza che purifica e chiama a conversione, che libera e salva. Solo allora ci scopriremo finalmente “fratelli” e “sorelle” e ci riconosceremo come “figli” e “figlie” di uno stesso Padre.

Nell’ora buia e sofferta della storia che stiamo vivendo, spetta a ogni credente, in particolare a ogni cristiano che riconosce in Gesù il modello supremo di Colui che, per amore, dà la vita per i suoi nemici, il compito di costruire, giorno per giorno, relazioni solidali e fraterne e di annunciare con umile parresia che i “figli di Dio” operano la pace non la guerra. Le parole di Gesù: «Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9) sono, infatti, non solo una promessa ma anche una chiamata e una missione.


  • Nella foto: Hiroshima, 6 agosto  2017. Un momento della marcia per la pace organizzata dalla Chiesa cattolica e dalla chiesa Anglicana di Hiroshima a cui hanno partecipato giovani e meno giovani da tutto il Giappone. Aprono il corteo S. E. mons. Ayuso Guixot, mons. Indunil Kodhituwakku e due sacerdoti della Diocesi di Hiroshima.