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70° anniversario della Dichiarazione dei Diritti umani

Teresina Caffi
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14 Dicembre 2018

Quanto avvenne il 10 dicembre di settant’anni fa fu un evento straordinario, uno sprazzo di luce intravisto insieme da un’umanità che aveva conosciuto in anni recenti l’orrore di ripetute guerre, particolarmente le due mondiali. La prima, di cui quest’anno ricorrono i cent’anni dalla fine, con i suoi quindici milioni di morti solo in Europa, i venti milioni di uccisi dalla fame e dalle epidemie, senza contare la tragedia dei sopravvissuti, angosciati e privati degli affetti più cari. La seconda, che causò sessanta milioni di morti nel mondo e culminò con l’esplosione nucleare a Hiroshima e Nagasaki.

L’umanità cercò di trovare qualcosa che la salvasse dall’estrema distruzione, l’espressione di valori comuni che rafforzasse la Carta delle Nazioni Unite, da poco nate. La Commissione dei Diritti umani, incaricata del progetto, creò un comitato di redazione composto da persone di diversa fede e origine, che stilò la bozza del testo che l’Assemblea generale delle Nazioni Unite approvò all’unanimità – con soli otto astenuti – a Parigi, il 10 dicembre 1948: la Dichiarazione Universale dei Diritti umani.

La storia anche molto antica aveva offerto degli abbozzi, ma per la prima volta questi diritti venivano affermati cosi universalmente come propri di ogni essere umano che viene in questo mondo. “Ho avuto la chiara percezione di partecipare a un evento di portata veramente storica, durante il quale un consenso era stato raggiunto sul valore supremo della persona umana, un valore che non viene dalla decisione di una potenza di questo mondo, ma piuttosto dal fatto stesso della sua esistenza che ha dato vita al diritto inalienabile di vivere al riparo dal bisogno e dall’oppressione e di sviluppare pienamente la propria personalità”, scrisse Hernán Santa Cruz, cileno, che partecipò alla redazione.

Il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo” afferma il Preambolo della Dichiarazione.

Essa ha dato in seguito origine a patti internazionali che hanno sviluppato e resi obbligatori alcuni diritti, e ha ispirato convenzioni regionali e legislazioni nazionali. A questi diritti dovrà ispirarsi anche la Conferenza prevista in questo mese di dicembre a Marrakech, in Marocco, per giungere al Global Compact sulla gestione dei flussi di persone nel mondo. Perché migrare, afferma la Dichiarazione al n. 13, è un diritto.

Certo, si potrà obiettare che questi diritti dal 1948 ad oggi sono stati violati innumerevoli volte e concludere che fu un lavoro inutile. Crediamo non sia stato inutile. Ho visto la sorpresa liberante negli occhi dei giovani congolesi a cui li raccontavo, percorrendo con loro la Pacem in terris. Dopo aver ricordato che Dio “ha creato l’essere umano intelligente e libero, a sua immagine e somiglianza, costituendolo signore dell’universo” (n. 2), papa Giovanni XXXIII afferma che i diritti e doveri umani sono “universali, inviolabili, inalienabili”. La fede non li sminuisce, anzi: “se poi si considera la dignità della persona umana alla luce della rivelazione divina, allora essa apparirà incomparabilmente più grande” (n. 5).

Diritti umani sono parole che mettono in piedi, che stabiliscono quel filo rosso invalicabile che protegge il patrimonio con cui ogni persona nasce in questo mondo. Grazie ad essi si valutano le situazioni, e anche le legislazioni. Grazie ad essi si può levare la voce oltre le frontiere statali per chiedere il soccorso di altri umani in nome della comune dignità. Grazie ad essi si trova un terreno condiviso per darci obiettivi d’impegno comuni. Perché essi sono contemporaneamente dovere e compito, sono responsabilità.

Ad essi va confrontato anche il nostro comportamento di cristiani e il nostro annuncio di missionari. La nostra parola deve trovare nella fede più forza per viverli, sostenerli e rivendicarli, non motivi per tacerli. Essi devono attraversare anche la nostra vita di chiesa, le nostre relazioni comunitarie e familiari, tutta la nostra esistenza.

Scriveva Eleanor Roosevelt, presidente del comitato di redazione: “Dove cominciano i diritti universali, dopotutto? Cominciano vicino a noi, in luoghi così vicini e piccoli che non si possono vedere in nessuna carta del mondo. (…) Se, in questi luoghi, i diritti sono privati di senso, non ne avranno di più altrove”.

Si può anche pensare di andare oltre, formulando dei diritti a livello di popoli e di gruppi. E in questo tempo in cui l’impatto reciproco dei popoli è più forte, sarebbe un bel compito, se avessimo il coraggio di lasciarci trapassare dalla verità, andando oltre discorsi di pura elemosina che ci fanno credere buoni.

Come potrebbe essere un Natale vissuto alla luce dei diritti umani? E che luce porta il Natale di Gesù sui diritti umani?