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"Ma, qual è il mio paese?"

Mons. Erio Castellucci
605
28 Gennaio 2018

La società multietnica, le migrazioni e la figura dello straniero al centro del messaggio della lettera che mons. Erio Castellucci, Arcivescovo di Modena-Nonantola ha indirizzato ai modenesi, ieri, in occasione della festa di San Geminiano, patrono dell’Archidiocesi. A seguito vi riportiamo stralci del testo:

 “Ascoltando l’omelia che papa Francesco ha pronunciato pochi giorni fa, in occasione della 104° Giornata Mondiale del migrante e del rifugiato, mi è venuto in mente un episodio capitato al doposcuola parrocchiale alcuni anni fa. La scena riguarda un bimbo di dieci anni, figlio di genitori tunisini, che insieme ad altri bambini – figli di famiglie italiane o provenienti dall’estero – frequentava il doposcuola parrocchiale. Era nato nel nostro paese e parlava perfettamente l’italiano. Quel pomeriggio era piuttosto confuso, perché la maestra che il giorno prima aveva assegnato un’esercitazione in classe dal titolo “Descrivi il tuo paese”, aveva riportato il compito corretto dicendogli che era andato fuori tema, poiché aveva parlato dell’Italia, mentre avrebbe dovuto parlare del “suo paese”. Quel bimbo chiese dunque all’insegnante del doposcuola: “ma qual è il mio paese?”.

Sono tante le persone che potrebbero domandarsi: “qual è il mio paese?”. Le migrazioni accompagnano da sempre la storia dell’umanità e segnano l’incontro e lo scontro tra culture, religioni e popoli. Pensiamo solo, per rimanere a casa nostra, ai circa 50 milioni di italiani che tra il 1870 e il 1970 emigrarono all’estero, soprattutto in Argentina, Stati Uniti, Brasile e Canada, ma anche in Australia. E pensiamo ai 254 milioni di migranti attuali, cioè circa il 3% degli abitanti del pianeta, dei quali circa 60 milioni sono profughi o sfollati, cioè costretti a lasciare la propria casa per andare in un altro paese o in un altro luogo del loro stesso paese, e oltre 22 milioni sono rifugiati, cioè persone che cercano di scappare dalle guerre e dalle violenze. Alle tante crisi politiche e sociali del pianeta si aggiungono crisi economiche e crisi ecologiche, le quali determinano altre migrazion.

"Ma qual è il mio paese?". Questa frase tradisce prima di tutto un certo smarrimento, il timore di non avere un punto di riferimento stabile. Si potrebbe dire che esprime letteralmente uno "spaesamento".. In un passaggio dell'omelia di Papa Francesco del 14 gennaio, infatti, ha detto: «Non è facile entrare nella cultura altrui, mettersi nei panni di persone così diverse da noi, comprenderne i pensieri e le esperienze. E così spesso rinunciamo all’incontro con l’altro e alziamo barriere per difenderci. Le comunità locali, a volte, hanno paura che i nuovi arrivati disturbino l’ordine costituito, “rubino” qualcosa di quanto si è faticosamente costruito. Anche i nuovi arrivati hanno delle paure: temono il confronto, il giudizio, la discriminazione, il fallimento».

Il timore, lo spaesamento, può riguardare dunque sia i cittadini italiani sia i migranti. I primi dicono a volte: "Ma qual è il mio paese? Non lo riconosco più: in giro vedo ormai più stranieri che italiani. è un'invasione! Non c'è lavoro nemmeno per noi italiani e loro vengono qua...". Sono considerazioni che si sentono quotidianamente, espresse con toni a volte rassegnati e a volte arrabbiati... Anche i migranti qualche volta vivono paure, timori e chiusure e possono arrivare ad esprimere comportamenti ed avanzare pretese tali da provocare reazioni negative. Inaspettatamente papa Francesco definisce queste paure «legittime, fondate su dubbi pienamente comprensibili da un punto di vista umano». Diversamente da quanto alcuni pensano - che papa Bergoglio sia un sognatore ingenuo e ignaro della complessità del fenomeno migratorio - il suo sguardo è realistico: le paure esistono e non sono sempre infondate. E aggiunge: «avere dubbi e timori non è un peccato. Il peccato è lasciare che queste paure determinino le nostre risposte, condizionino le nostre scelte, compromettano il rispetto e la generosità, alimentino l’odio e il rifiuto. Il peccato è rinunciare all’incontro con l’altro, all’incontro con il diverso, all’incontro con il prossimo, che di fatto è un’occasione privilegiata di incontro con il Signore».
A volte purtroppo è la paura, alimentata ad arte, a prendere il sopravvento.

"Ma qual è il mio paese?". Questa domanda può assumere anche una tonalità diversa dalla paura e dal timore, ed esprimere piuttosto, sia da parte dei cittadini italiani sia da parte dei migranti provenienti dall'estero, il desiderio di conoscere. In questo senso, non solo la domanda è legittima, ma è doverosa: senza informarsi sulla realtà prevalgono i pregiudizi e le paure.

Non sono i numeri, ma i volti, che aiutano a vincere paure e pregiudizi. Però i numeri aiutano. E per capire "qual è il mio paese" devo passare anche attraverso l'aritmetica; la statistica fornisce queste cifre, qui arrotondate: la popolazione italiana residente è formata da poco meno di 61 milioni di persone, dei quali circa 5 milioni di origine straniera; tra di loro un milione e mezzo sono di religione musulmana e circa un milione e 600.000 cristiani, per lo più di confessione ortodossa. Complessivamente quindi i migranti presenti nel nostro paese sono l'8,3% della popolazione e i musulmani sono il 2,5%. Quanto agli "sbarchi": negli ultimi quattro anni sono giunti in Italia via mare circa 625.000 migranti: 170.000 nel 2014, 154.000 nel 2015, 181.000 nel 2016 e 120.000 lo scorso anno.

Altri numeri possono aiutare a capire "qual è il mio paese". I lavoratori stranieri in Italia, i quali spesso svolgono mansioni che non attirano gli italiani, producono un saldo annuo positivo per le casse dell’INPS di circa 5 miliardi di Euro all’anno, tali da mantenere oggi più di 600.000 pensionati. Gli studenti stranieri in Italia sono 814.000; senza di loro quasi tremila scuole sarebbero chiuse e migliaia di docenti non avrebbero lavoro. Alla fine del 2016 erano 571.000 in Italia le aziende condotte da lavoratori immigrati, il 9,4 % di tutte le aziende italiane; e queste aziende danno lavoro anche a molti italiani, specialmente nei settori del commercio, dell’artigianato, dell’edilizia e della ristorazione.

Non c'è motivo di parlare di invasione, né tantomeno di invasione islamica. Ciò non significa affatto sottovalutare i lati problematici, gli eventuali contraccolpi psicologici negativi e alcuni comportamenti deviati, che vanno bloccati e puniti da qualunque parte vengano e che sono ovviamente favoriti da situazioni di instabilità, mancato impiego, precarietà abitativa e indisponibilità economica. Purtroppo la carenza di normative adeguate crea dei vuoti legislativi, per cui i migranti e i rifugiati, in alcune fasi della loro permanenza, non sono tutelati adeguatamente nemmeno per l'assunzione di un lavoro temporaneo e si trovano spesso in condizioni di ozio forzato, che nuoce a loro e ai cittadini italiani e favorisce condotte illegali, talvolta dentro a reti di malavita e sfruttamento gestite da organizzazioni senza scrupoli. Viene spesso riferito un dato che fa pensare: sulle circa 57.000 persone detenute in Italia, un terzo sono di origine straniera; e spesso questo fatto provoca considerazioni xenofobe. Ma per interpretarlo bene, occorre sapere - senza diminuirne la portata - che il 90% dei cittadini italiani incriminati o condannati ha la possibilità di ottenere misure alternative alla detenzione, cosa che è possibile solo al 10% degli stranieri incriminati o condannati. Anche in considerazione di questi delicati fenomeni, dovremmo tutti concorrere ad invocare e provocare interventi legislativi adeguati e prassi più snelle e meno burocratizzate, per rendere più agevole l'ottenimento dei permessi di soggiorno e le verifiche per la concessione dello status di rifugiato.

E infine – ma ci sarebbero altri dati da considerare – dell’informazione fa parte anche il dovere di conoscere le cause del fenomeno migratorio legato ai rifugiati; cause che forse meriterebbero qualche ammissione di colpa da parte di alcuni paesi occidentali: dalle conquiste coloniali alle guerre che, in Siria, Iraq e in varie zone dell’Africa, sono tuttora alimentate anche dallo sfruttamento economico e dal commercio delle armi sulle quali i paesi venditori – tra cui l’Italia – guadagnano non poco.

Quando abbiamo davanti un essere umano che ha bisogno, è debole, ha sofferto, magari è anche minorenne, il primo passo per noi esseri umani più fortunati, e soprattutto per chi tra di noi crede alla verità del Vangelo, è quello di attivare l'accoglienza.

Poi verranno tutte le altre considerazioni, doverose e sacrosante: è giusto? Chi ci guadagna? Come evitare che dieci migranti al giorno anneghino tra la costa libica e la Sicilia? Come combattere lo sfruttamento disumano dei trafficanti? Come aiutare i migranti profughi nelle loro terre?.

"Ma qual è il mio paese?": possiamo rispondere ancora con le parole che papa Francesco ha pronunciato l'8 gennaio scorso davanti al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede: «Desidero esprimere particolare gratitudine all'Italia che in questi anni ha mostrato un cuore aperto e generoso e ha saputo offrire anche dei positivi esempi di integrazione. Il mio auspicio è che le difficoltà che il paese ha attraversato in questi anni, le cui conseguenze permangono, non portino a chiusure e preclusioni, ma anzi a una riscoperta di quelle radici e tradizioni che hanno nutrito la ricca storia della nazione e che costituiscono un inestimabile tesoro da offrire al mondo intero». Se a qualcuno potrà sembrare troppo generoso questo riconoscimento all'Italia è perché rimbalzano alle cronache più che altro le difficoltà e le tensioni; ma chi vive a stretto contatto con il territorio, conosce e vede che le non poche "chiusure" sono contrastate da molti "positivi esempi" di incontro e inclusione. Potrebbero testimoniarlo prima di tutto coloro che si impegnano nelle coste della Sicilia e tanti altri che dovunque prestano i primi soccorsi; ma anche i Prefetti, i Sindaci, la Polizia e i Carabinieri e le forze di sicurezza e di vigilanza, le associazioni di volontariato e innumerevoli altri enti e singoli, tra cui le comunità cristiane e i semplici fedeli. E potrebbero testimoniarlo coloro che a partire dal novembre 2017 hanno aperto i "canali umanitari" con l'Africa, realizzando il trasferimento aereo in Italia di profughi particolarmente provati, aventi diritto alla protezione internazionale, che vengono accolti nelle diocesi italiane. Questa iniziativa, che apre una strada nuova, è stata avviata dalla Comunità di Sant'Egidio e fatta propria dalla CEI e dallo Stato italiano.

Ma potrebbero testimoniarlo soprattutto coloro che operano quotidianamente negli spazi della socializzazione: famiglia, scuola, lavoro, sport, luoghi di svago, cura, cultura e dialogo, sono le principali esperienze di reciproca integrazione tra persone di origine italiana e di origine straniera. Tutte le “agenzie educative”, parrocchie comprese, sono impegnate a fondo in quest'opera, nel rispetto della legalità e della Costituzione italiana, sui quali principi di libertà, responsabilità e democrazia non si può transigere. Ma questo rispetto non è innato, si impara nel percorso educativo; e l’incontro con l’altro, con lo straniero, con chi proviene da una cultura e spesso da una religione diversa, non deve essere un’insidia, ma un confronto che aiuta a costruire con maggiore consapevolezza e ricchezza la propria identità. Contrapporre identità e accoglienza è insensato, perché per noi occidentali e specialmente per i cristiani l’accoglienza è scritta nella carta di identità: “ero straniero e mi avete accolto” (Mt 25,43). L'incontro è l'antidoto della paura e dell'odio e il seme della pace.”

Per leggere il testo integrale della lettera vai a: http://www.modenatoday.it/eventi/cultura/ma-qual-e-il-mio-paese-la-lettera-dell-arcivescovo-per-la-festa-di-san-geminiano.html